Se il controllore non può multare le imprese che scaricano la Robin Hood Tax sui clienti, la vigilanza resta un fatto puramente documentale. E il rischio è che a pagare siano le famiglie e i consumatori. Con un linguaggio più diplomatico, l’Autorità per l’energia l’aveva scritto già lo scorso 11 aprile alla commissione Attività produttive della Camera: «Il mancato fondamento legislativo dei poteri di intervento e sanzionatori dell’Autorità porrebbe nel nulla il lavoro di vigilanza e monitoraggio previsto dal Dl 112/08, che resterebbe privo di enforcement».
La conferma di questa “mancanza di poteri” è arrivata dal Consiglio di Stato lo scorso 20 luglio, con la sentenza 4388, che ha chiuso il contenzioso tra l’Autorità e alcune imprese del settore energetico (al centro della lite c’erano proprio gli obblighi di comunicazione finalizzati al monitoraggio). I giudici di Palazzo Spada non lo dicono esplicitamente, ma confermano l’orientamento espresso più volte dal Tar Lombardia. Valga per tutte questa frase dei magistrati milanesi (sentenza 4742/2009): «Il giudizio dell’Autorità non si traduce in misure preventive o repressive, ma comporta soltanto un referto al Parlamento». Ad oggi, dunque, il controllore può solo osservare e riferire. Tra le righe della memoria dell’11 aprile, l’Authority chiede una copertura legislativa della propria potestà sanzionatoria e un «indispensabile adeguamento delle sue risorse organizzative». Due aspetti in più sui quali il Parlamento dovrà interrogarsi al momento di convertire in legge la manovra di Ferragosto. (Il Sole 24 Ore)
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