IL BEAUTY CONTEST E LE REGOLE DELLA CONCORRENZA. IL PUNTO

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Sono anni ormai che dura il contenzioso tra Europa e Italia sulla concorrenza nel mercato delle comunicazioni digitali. Molto è stato fatto, ma molto altro ancora resta da fare, specie per quanto concerne la neutralità delle tecnologie e delle reti. Il divario con il resto d’Europa è caratterizzato dal fatto che in Italia ci sono ancora troppi vantaggi per gli operatori tv, in quanto lo Stato riconosce ancora un diritto di proprietà sulle frequenze non utilizzate. Tutto con l’avallo delle Autorità di garanzia, che hanno scelto procedure diverse per l’assegnazione del dividendo digitale. L’infrazione contestata al nostro paese è riconducibile alla rigidità del quadro normativo in materia radiotelevisiva e alla mancata conformità delle regole italiane di gestione dello spettro radio e assegnazione delle frequenze Tv alla disciplina comunitaria. Ma vediamo insieme cosa chiede l’Unione Europea all’Italia e quali sono i motivi di questo lungo contenzioso.
Dal punto di vista del diritto comunitario delle comunicazioni elettroniche si evince che i due capisaldi fondamentali sono:
– la neutralità delle tecnologie;
– l’armonizzazione delle regole a garanzia della concorrenza.
Le frequenze radio sono fondamentali per la trasmissione Tv in tecnica digitale su piattaforme terrestri (DVB-T) e mobili (DVB-H/DVB-T2). E per perseguire neutralità e concorrenzialità, il legislatore europeo ha ridotto gli ostacoli all’accesso alle frequenze per usi digitali sopprimendo
le tecnologie analogiche tradizionali. Lo switch-over al digitale, previsto
entro la fine del 2012, libera dunque una grande quantità di frequenze (da 200 MHz a 1 GHz), da utilizzare per aumentare la gamma di operatori e servizi digitali (dividendo digitale).
Poiché lo spettro radio è un bene pubblico, le risorse liberate attraverso il passaggio dalla
televisione terrestre a quella digitale – il cosiddetto dividendo digitale – vanno assegnate secondo
principi di neutralità tecnologica, massimizzazione dei benefici per i consumatori e i cittadini, tutela
della concorrenza e costituzione del mercato europeo delle comunicazioni digitali.

L’Italia invece attribuisce vantaggi a reti e operatori Tv. Riserva infatti in via preventiva alla DVBTfrequenze già occupate dalla tecnica analogica, in quantità non giustificate né dalla conversione dei canali analogici esistenti (switch off) né dai potenziali di domanda, limitando la proporzionalità
nello sviluppo e la concorrenza di altre piattaforme. Riserva ex ante a operatori Tv analogici risorse
frequenziali DVB-T (e DVB-H), non giustificate né dalla conversione dei canali trasmessi né da
logiche di interesse generale, ostacolando l’entrata di altri operatori nel mercato e rafforzando le
posizioni dominanti.
I diritti d’uso delle frequenze vanno concessi dalle Autorità mediante procedure aperte, obiettive e
non discriminatorie. L’Europa prevede l’adozione di procedure diverse dal confronto
concorrenziale solo “per il conseguimento di obiettivi d’interesse generale” e nel caso di selezione
comparativa l’Autorità “considera l’esigenza di ottimizzare i vantaggi per gli utenti e di favorire lo
sviluppo della concorrenza”.
La disciplina dell’Agcom ha invece avallato l’attribuzione di diritto di frequenze DVB-T agli
operatori analogici oltre le esigenze per lo switch off; ha scelto diverse procedure di assegnazione
del dividendo digitale: concorrenziale (asta) per le frequenze a comunicazioni mobili e comparativa
(beauty contest) per frequenze a DVB-T . E ha distinto, nell’unico caso di assegnazione “aperta”,
le frequenze DVB-T in lotti (A e B) riservando risorse pregiate agli operatori televisivi tradizionali.
L’assegnazione concede il diritto d’uso e non trasferisce la proprietà di un bene pubblico
(inalienabile). La partecipazione all’assegnazione ha implicito il valore economico dato
dall’impresa all’uso commerciale della risorsa. La normativa comunitaria prevede un meccanismo
di tutela dal rischio di mancato uso attraverso la possibilità di trasferire i diritti a terzi, vietando il
cambiamento di destinazione. Lo scambio dei diritti non deve dar luogo a una distorsione della
concorrenza attraverso il mancato utilizzo dello spettro radio.
L’Italia ha stabilito:
a) un diritto di proprietà degli operatori Tv analogici che non riconsegnano
nello spettro pubblico le frequenze non utilizzate, cedono le frequenze per usi DVB-T (diversa
destinazione) e sono rimborsati in caso di “esproprio” (parte degli introiti dell’asta radiomobile a Tv
locali);
b) il coinvolgimento di tre autorità – ministero Sviluppo economico, Agcom e Agcm – nel
controllo dei trasferimenti di frequenze da un operatore a un altro, ma senza trasparenza sugli
scambi avvenuti o sulla destinazione commerciale, rendendo impossibile verificare la distorsione
(non uso) o la limitazione della concorrenza (rafforzamento di posizione dominante).
Da questo di può desumere che le azioni messe in atto da legislatore e Autorità di garanzia si muovono in controtendenza rispetto alle richieste dell’Europa. È probabile che ciò avvenga perché gli operatori tradizionali vogliano preservare lo status quo e conservare le proprie rendite di posizione acquisite nel corso degli anni.
E il beauty contest? Il quesito è stato fatto a Mario Monti in occasione della conferenza stampa di presentazione della manovra salva Italia e da allora, è passata poco più di una settimana, è (ri)balzato agli onori delle cronache. Non si tratta di un problema nuovo, rimandato da Monti a valutazioni successive, ma rinnovato è il vigore con cui viene posto in un momento di crisi economica e necessità di fare cassa. Il contesto è quello dell’ assegnazione delle frequenze televisive lasciate libere dal passaggio dall’analogico al digitale e, a differenza di quanto avvenuto per le frequenze 4G, non è prevista un’asta, che nel caso della telefonia ha permesso allo Stato di rastrellare 3,9 miliardi di euro. Ad aggiudicarsi i muliplex disponibili, pacchetti di frequenze, saranno i soggetti giudicati più meritevoli secondo i parametri imposti dal ministero dello Sviluppo Economico.
La vera incognita è soprattutto Sky, dapprima impegnata per mesi in una battaglia proprio in sede comunitaria per ottenere il diritto a partecipare alla gara per poi tirarsi indietro sul più bello. Il colosso di Rupert Murdoch rappresenta, soprattutto in termini di possibilità economiche, l’alternativa più strutturata a tv di Stato e Biscione. Secondo stime circolate in queste giorni, i sei multiplex potrebbero fruttare fino a 2,4 miliardi di euro. Mediaset ha già fatto sapere che non si presenterà all’asta. Presumibilmente farà lo stesso anche la Rai.
Siamo dinanzi a due alternative: la prima, quella più plausibile è che l’asta sarà un vero e proprio flop per lo Stato. La seconda invece è che ci troviamo dinanzi ad una vera e propria partita di poker, dove Mediaset, Rai e Sky giocano a chi bluffa meglio. Sul tavolo ballano centinaia di milioni di euro, e il Ministro Passera è convinto di avere in mano una scala reale servita. Staremo a vedere.

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