Grecia, citazioni milionarie per i cronisti ficcanaso

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Mediterraneo sempre più a fondo per la libertà d’informazione. L’Italia arranca intorno al settantesimo post nella hit di Freedom House, con la spada di Damocle delle citazioni civili che sempre più spesso piomba sul capo del cronista di turno, mentre il parlamento continua a gingillarsi tra “rettifiche” e “oblii”. In Spagna la “Ley Mordaza” del governo Rajoy sta mettendo praticamente il bavaglio a quel poco che resta della libera informazione, con una valanga di giornalisti (ma anche di direttori di prestigiose testate) licenziati in tronco. E nel terzo Paese europeo che affaccia sul Mediterraneo, la Grecia, cosa sta succedendo? Andiamo a vedere

Impietose le classifiche. Secondo “Reporters sans frontieres”, in soli cinque anni, dal 2009 al 2014, la Grecia ha perso ben 56 posizioni, attestandosi al novantunesimo posto sul totale dei 180 paesi censiti. In Europa precede solo la Bulgaria. Va giù duro Freedom House: “La libertà di stampa è stata notevolmente limitata nel corso degli ultimi cinque anni a causa di interferenze politiche e monopolio dei media”. Ecco uno stralcio dal report 2014 che analizza il motivo del default anche nel campo della democrazia mediatica: ciò avviene – si spiega – “a causa delle interferenze politiche del governo e dei partiti nei mezzi di comunicazione, della creazione di un monopolio sulle trasmissioni digitali attraverso una gara d’appalto imperfetta e la copertura distorta delle notizie politiche”.

Gara “imperfetta” sta per gara “taroccata”, come spesso e volentieri succede negli appalti per i lavori pubblici: ma anche in quelli che caratterizzano il mondo dell’informazione, così in Grecia come da noi. Vediamo, più da vicino, cosa è successo all’ombra del Partenone. Scrive il rapporto di Freedom House: “La Digea, fornitore del segnale digitale del Paese, ha stabilito un monopolio nelle trasmissioni digitali a causa di una gara d’appalto viziata e l’azienda ora detiene la responsabilità di tutta la televisione digitale terrestre gratuita in Grecia. Indicativo della situazione è che alcuni giorni fa, a causa di un problema tecnico, gli schermi televisivi di tutta la Grecia sono andati in nero per diverse ore”.

A quanto pare poco è cambiato anche in seno alla Tivvù di Stato ellenica, la nuova NERIT, sorta sulle ceneri di ERT, archiviata in un baleno. La chiusura del vecchio carrozzone avrebbe dovuto assicurare maggiore trasparenza nella gestione e fine della “pratiche di corruzione”: ma a quanto pare così non è stato. Anzi, le cose sarebbero addirittura peggiorate.

Sicuramente sono peggiorate sul fronte dell’arroganza del Potere, che ha pensato bene – anche nell’era Tsipras – di picchiare duro contro i giornalisti rompiscatole, o che cercano di documentare quel che succede nei Palazzi. Bastonarne uno per educarne cento, sembra il leit motiv nel segno della più perfetta continuità col passato. Osserva un cronista che ha vissuto le dittature dei colonnelli, fino al socialismo finito in frantumi e oggi analizza l’ondivago Tsipras: “La crisi economica che ha devastato e continua a devastare il Paese ha dato il colpo finale a un giornalismo già assediato. Gli editori sono spariti e quei pochi sono accovacciati ai piedi di quei brandelli di potere che restano. L’informazione ormai è ridotta a un eroico sforzo di pochi, sembra di combattere una vera resistenza”.

E ci fornisce qualche caso emblematico, che la dice lunga sulla volontà del nuovo Potere in salsa tsiprasiana di imbavagliare quel poco che resta della libera informazione. Il ministro della Difesa Panos Kammenos ha pensato bene di citare in giudizio un giornalista, chiedendo 1 milione di euro come risarcimento danni per lesa maestà. Cosa aveva mai osato il reporter? Commentare, in modo evidentemente graffiante, alcune espressioni improvvidamente fuoriuscite dalla bocca del pletorico ministro, farneticanti al punto di contraddirsi tra loro: “l’Europa è guidata da tedeschi nazisti”, la prima, “gli ebrei greci non pagano le tasse”, la seconda. Da chiamare il 113 locale: invece il ministro espressione delle destra (“non estrema”, precisa) di Anel, il movimento dei “Greci Indipendenti”, ha pensato bene di chiamare il suo avvocato per battere a soldi contro il reo con penna, Andreas Petroulakis, che nota: “Non intendiamo dare via la nostra identità giornalistica, i miei colleghi e io, perchè diamo fastidio al signor Kammenos o ad altri. Non c’è democrazia senza libertà di parola e il dovere dei giornalisti è di controllare le figure pubbliche”. E sottolinea: “questo, e altri simili, sono niente altro che il tentativo di terrorizzare la libertà di espressione”. Che in Grecia vacilla.

Ma quello di Kammenos non è un caso isolato nella variegata compagine governativa made in Tsipras. Forse per non sentirsi da meno, qualche mese dopo il ministro degli Esteri (nel primo e poi nel secondo esecutivo post elettorale) Nikos Kostias batte anche lui cassa: ma stavolta per “soli” 250 mila euro di risarcimento, tanto vale il suo onore calpestato dal commento di un lettore pubblicato dal mordace “Athens Review off Books”. Non aveva poi oltraggiato alcuna divinità dell’empireo ellenico, il lettore, che aveva “osato” avvicinare la figura dell’ex comunista a quella di un “Gauleiter dello stalinismo” (i “Gauleiter” erano i capi di stato fantoccio al servizio del terzo Reich). Osserva un legale ateniese esperto in diffamazioni: “ai ministri non interessa ristabilire una qualche verità. Ma colpire il giornalista con una sciabolata a suon di soldi, tanto per dare un preciso segnale. L’importante è chiederne molti, far andare il processo per le lunghe come del resto è prassi: il ristabilimento di una eventuale verità è l’ultimo dei problemi…”.

Commenta Athanasios Papandroupulos, presidente della sezione greca dell’associazione dei giornalisti europei. “Il citante, solitamente politico, opta per gli atti civili invece di una citazione penale per diffamazione. I citanti, per convincere la corte, promettono di dare queste grandi somme di denaro alle fondazioni benefiche, in caso di vittoria. In effetti abbiamo un problema enorme della giustizia che non viene garantita all’informazione”. E aggiunge: “Per affrontare questo fenomeno, io stesso ho suggerito l’istituzione del mediatore della stampa, secondo il modello scandinavo. Questa idea non è mai stata presa in considerazione”.

Da noi, invece, la “Mediazione” è stata ormai istituzionalizzata. Ma con effetti, per ora, perversi. Una forma di giustizia “privata”, col solo intento di “quantificare” il risarcimento, caso mai di “rateizzarlo”, oppure di prevederne “modalità” alternative. Certo non di accertare la verità dei fatti contestati. Alla faccia di una “Giustizia” – pubblica – che dovrebbe essere “uguale per tutti”…

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