I giganti della pubblicità sono gli over the top: facebook, twitter, google, per intenderci. Soggetti privati che da anni hanno imposto il loro modello sul mercato diventando, di fatto, monopolisti. I loro algoritmi decidono sul futuro dei politici, delle grandi aziende e di quelle piccole. Ogni tanto decidono di lanciare un osso già spolpato nell’arena dove gli editori tradizionali si ammazzano per dare un morso. È un fenomeno mondiale in cui il si è realizzato il potere della tecnologia che profetizzava quasi cinquanta anni fa Jean-François Lyotard.
Il politicamente corretto che per anni ha caratterizzato ogni attività di questi soggetti, che hanno innovato il modo di fare comunicazione, rivoluzionando le abitudini di consumo di ognuno di noi, ha avuto come base culturale la libertà del web: declinata da principio come uno strumento di affrancamento dai poteri forti degli editori tradizionali.
Ma il post-moderno ha mostrato velocemente i segni di un nuovo mondo molto meno affascinante di come si immaginava. Ed i primi segni, deboli, per carità, di resistenza iniziano ad apparire.
I grandi investitori pubblicitari, la Coca Cola giusto per fare un esempio, hanno deciso di ridurre gli investimenti pubblicitari sui social network accusati di non contrastare adeguatamente l’odio ed il razzismo. Il re non è nudo, non ancora. Ma qualche mantello inizia a mostrare segni di cedimento. La dimostrazione è nelle giustificazioni di facciata con cui i giganti del web hanno risposto a questa iniziativa.
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