E LA TELEVISIONE NON SARA’ MAI PIU’ L’OMBELICO DEL MONDO (SECOLO D’ITALIA)

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Una volta rappresentava la vetta da conquistare per il generazionale “quarto d’ora” di notorietà. Adesso, in certi casi, è quasi diventata un mobile di arredamento. È la televisione, che non solo non riesce più a unire la famiglia davanti al suo schermo ma – per la rabbia di chi crede che sia tutto lì il trucco dei nuovi despoti – non persuade neanche più di tanto. La tv non è più il centro del mondo, o per lo meno non è più il mediatore assoluto tra il potere pubblico (politico, economico, religioso) e il cittadino. Direbbe qualcuno, a questo punto, che «è arrivata la democrazia digitale». Sono diventanti allora, da un momento all’altro, tutti nemici della tv? Non è questo il punto.
Non si tratta di un abbandono del mezzo televisivo ma della nascita di nuove offerte che hanno rivoluzionato il modo di usufruire del mezzo. È la tecnologia che ha ampliato e reso possibile quello che lo sviluppo della comunicazione ha portato nel campo dell’interazione: non c’è più un dominus che decide cosa si deve vedere, a che ora e come. Se l’arrivo della pay-tv, e di Sky su tutte, ha di sicuro ampliato e differenziato l’offerta sia nel campo dell’informazione che dell’intrattenimento, ciò non basta per capire un fenomeno che è appannaggio principalmente dei nuovi media e di internet in particolare: basti pensare a cosa significa questo mezzo per chi sta davanti al computer otto ore al giorno. L’interattività è, quindi, la nuova frontiera della relazione e dello stesso intrattenimento. Non più una comunicazione unidirezionale, ma la “democraticità” dello spazio è la caratteristica che il pubblico sta premiando.
Su Facebook, il social network che spopola in tutto il mondo, o ci si chiama Barack Obama o Fabrizio Colaianni si possiede lo stesso format e si utilizza lo stesso linguaggio: «Vuoi diventare mio amico?». E, allora, la vicenda di questi giorni della Commissione di vigilanza della Rai e dei suoi protagonisti – con il suo politichese e i tempi statici da Prima Repubblica – si innesta realmente in una dinamica e in un modo di concepire la comunicazione che non esiste più. La Rai, quello che per decenni ha rappresentato il totem del possesso dell’informazione, dell’opinione e dell’intrattenimento, non può più essere considerata la opinion leader della moltitudine.
Il discorso, come ovvio, non riguarda solo il servizio pubblico ma tutta la programmazione televisiva per come si presenta oggi. Nell’epoca in cui il nuovo presidente degli Stati Uniti esordisce con un discorso su Youtube è dura andare a spiegare a molti politici che il tempo della dichiarazione al tg è finito. Perché non determina più la scelta, in quanto il pubblico utilizza altro per formarsi: dai blog, ai forum fino ai quotidiani on line. Le ultime elezioni politiche, del resto, hanno dimostrato che la sovraesposi-zione televisiva non paga: i due candidati premier Fausto Bertinotti e Daniela Santanchè, i più presenti davanti alla telecamera, non sono riusciti neanche ad entrare in parlamento.
Nell’epoca della atomizzazione solo la politica sembra ancora credere nella forza di convincimento del telegiornale della sera. Come ci spiega Aldo Grasso, giornalista del Corriere della Sera ed esperto di linguaggi televisivi, «in questa vicenda la classe politica fa un errore principale, quello di restare legata a una logica vecchia». Per Grasso, infatti, «dietro il traguardo politico della Rai non si capisce che c’è tutto un mondo che sta cambiando i canali da cui prendere opinioni e altro: da internet alle televisioni satellitari». C’è anche un altro elemento che sfugge: «La stessa selezione politica adesso viene fatta da un reality show, come ha dimostrato la vittoria di Wladimir Luxuria ne L’isola dei famosi e il conseguente riavvicinamento del suo partito». Non solo, quindi, l’epoca del talk show come collettore di consenso sembra esaurita ma anche i processi di ricerca dell’informazione sono cambiati.
Come spiega ancora Grasso «siamo dinanzi a un pubblico maturo, che utilizza diversi messi per informarsi e non si basa esclusivamente del servizio televisivo». La “privatizzazione” dell’ascolto, insieme alla tv ora demand (quella per cui si sceglie quando guardare un determinato prodotto) e ai social network (Myspace, Facebook e Netlog su tutti), sono le nuove frontiere dell’informazione e anche della comunicazione politica. E queste centrali di informazione, intrattenimento e comunicazione stanno realmente prendendo spazio anche nel palinsesto televisivo. Un esempio si è avuto con le recenti contestazioni al ministro dell’Istruzione Gelmini con incidenti annessi: qui le immagini più significative sono state quelle girate e commentate su internet, e di queste la televisione è stata costretta a servirsene.
Le novità tecnologiche hanno creato un portale virtuale, protesi di quella indipendenza di scelta e di giudizio che il cittadino va sempre di più cercando. E il fenomeno è arrivato anche per la televisione. E allora, dietro Obama, tutto un mondo si sta spostando sempre di più nei mezzi “altri” di comunicazione. Il segno della “debolezza” della televisione, infine, si misura anche con la fuga degli stessi protagonisti di questo mondo. Per molti comici, ad esempio, la tv non costituisce più il suggello di una vita artistica ma un passaggio per approdare in teatro. Da Fiorello a Paolo Rossi fino a Panariello sono in tanti ad aver quasi abbandonato il piccolo schermo. Anche gli intellettuali non calcano più come prima i canali televisivi e preferiscono di gran lunga su internet far “pesare” la propria figura.
Ultimo baluardo romantico di un mondo che sta finendo resta Pippo Baudo che, battuto con il suo show dalla concorrenza il sabato sera, melanconico lamenta: «Possibile che nessuno ami più il varietà elegante e tradizionale?». Qualcuno scommette che piaccia ancora e tanto a quelli della Commissione di vigilanza della Rai…. (Dalla rassegna stampa ccestudio.it)

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