Quante volte ci siamo ritrovati davanti questa frase che distrattamente spuntiamo con un clic, pur di procedere all’operazione?
Oramai nella nostra vita digitale-quotidiana ci imbattiamo di continuo nell’accettazione delle pratiche di trattamento dei dati personali.
Ma quasi nessuno presta attenzione alla convenzionalità di questa formula contrattuale. Eppure dietro quel breve “periodo” si celano molti dei grandi interessi esercitati dalle major della rete.
A metterlo in luce è un documentario statunitense del regista Cullen Hoback, dal titolo: “’Terms and Conditions May Apply”.
Hoback sottolinea le lungaggini legislative che caratterizzano questo di tipo di clausole, affermando per assurdo che se anche un utente medio dovesse davvero leggere tutti i tos (terms of service) dei servizi a cui accede, impiegherebbe un mese lavorativo all’anno per farlo.
Insomma sembra proprio che questi termini contrattuali siano elaborati in modo tale da renderne quasi del tutto impraticabile la lettura integrale.
Ma cosa si nasconde tra le righe dei “termini d’uso”?
Nel documentario viene mostrato come i grandi del web quali Facebook, Twitter, Google ed altri traggono preziose informazioni dai dati degli utenti, che acconsentono al loro utilizzo e dunque in maniera più o meno consapevole all’indebolimento progressivo della privacy in rete.
Nelle scene del documentario appare involontariamente anche Mark Zuckerberg, nella scena in cui lo stesso Hoback indossa i Google Glass, per mostrare ironicamente la “finta” trasparenza di Facebook.
Insomma forse andrebbero riviste le formule di politica aziendale dei dati, rendendole più snelle e davvero interpretabili dagli utenti perché come recita la battuta del comico Eddie Izzard: “ I termini di utilizzo nessuno li legge, nemmeno gli avvocati che li scrivono”.
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