DDL DIFFAMAZIONE, TETTO DI 50 MILA EURO PER LE MULTE. ANCHE SITI E LIBRI DEVONO RETTITICARE. SI DECIDE (FORSE) LUNEDÌ

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Si è aperta ieri, ma è stata subito rinviata ad oggi e poi a lunedì prossimo, la seduta al Senato per il varo del ddl diffamazione, varato in seguita alla condanna a 14 mesi per diffamazione inflitta ad Alessandro Sallusti per un articolo pubblicato nel 2007 su “Libero”. L’imposto massimo per le multe comminate ai giornalisti, così come precisato nel nuovo disegno di legge, si è ridotto a 50 mila euro. L’interdizione massima passa, invece, a un anno. E scatta l’obbligo di rettifica anche per libri e web. Centrosinistra, mondo della stampa ed editori si sono detti preoccupati: «La nuova legge mina la libertà di espressione» hanno spiegato in coro. Ma ancora nulla è certo. Si aspetta il voto definitivo che dovrebbe arrivare lunedì. La prossima settimana è prevista anche la calendarizzazione alla Camera.
Sono troppi gli emendamenti da studiare: circa 140. Troppi i punti in sospeso. E soprattutto poca l’intesa tra i partiti. Bisogna dire che il ddl, inizialmente pensato per salvare Sallusti dalla galera, si è progressivamente arricchito di tanti particolari. Molti dei quali considerati “pericolosi e illegittimi”, soprattutto dai rappresentanti politici del centrosinistra e dal mondo della stampa. Addirittura L’Unità ha battezzato il testo «legge bavaglio e vendetta contro la libera informazione».
«Il ddl contiene norme assurde e pericolose. Nel testo c’è disprezzo per la libertà dell’informazione. Rettifiche eccessive e sanzioni economiche appaiano vessatorie e punitive», ha dichiarato Giulio Anselmi, presidente della Fieg.
«Bene togliere il carcere, ma le multe sono come una pistola puntata alla testa. Anche l’Europa ci chiede di abbassarle. In caso contrario ci saranno gli estremi per un ricorso alla Corte di Strasburgo», ha affermato Caterina Malavenda, avvocato penalista ed esperta di diritto dell’informazione, nonché coautrice del libro “Le Regole dei giornalisti. Istruzioni per un mestiere pericoloso”.
L’invito è stato subito recepito dal Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti. «Se questa legge passa l’Ordine ricorrerà alla Corte di Strasburgo» ha precisato, senza troppi giri di parole.
«L’attuale testo è una minaccia per la libertà di stampa. Che ritorni in commissione Giustizia [da cui è stato appena licenziato l’altro ieri, ndr]», ha incalzato, dal canto sui, Paolo Gentiloni, deputato del Pd.
Tanti commenti ad un testo che cambia continuante pelle. L’unica cosa certa è l’eliminazione della galera, il dovere della rettifica e l’abbassamento a 50 mila euro del tetto massimo per le sanzioni. Anche la soglia minima, attualmente di 5 mila euro, potrebbe essere ulteriormente ridotta (in effetti anche “poche” migliaia di euro potrebbero far chiudere le piccole testate). Ma dopo un “tira e molla” in commissione e in Aula, nel ddl resta però l’obbligo di restituire al Dipartimento per l’editoria le somme già incassate ed eventualmente corrispondenti alla multa comminata a seguito di condanna per diffamazione.
È previsto un aumento dello sconto della pena, da un terzo a due terzi, per chi pubblica correttamente la rettifica. Ma questa dovrà essere scevra da ogni commento del giornalista e comprensiva di eventuali sentenze e documenti riportati integralmente. Non è sicuro che una espletazione dell’obbligo di rettifica estingua il reato penale con relativo processo.
Si parla di estendere l’obbligo di rettifica anche agli autori ed agli editori di libri e pubblicazioni non periodiche. Questi, per ovvi motivi, dovranno affittare degli appositi spazi su due quotidiani nazionali scelti dal diffamato per pubblicare eventuali correzioni e/o precisazioni da parte della vittima.
Smussata l’interdizione della professione La sospensione massima per i recidivi dovrebbe scendere a un anno, invece di tre.
Poi c’è anche chi vorrebbe moltiplicare per cinque le attuali pene, come il pidiellino Malan: «Sarebbe un deterrente per le menzogne». Risponde a tono Li Gotti, dell’Idv: «Sarebbe una legge pro-casta politica, che impedirebbe inchieste scomode per chi ruba o imbroglia». Si è parlato anche di far restituire i fondi pubblici alle testate condannate per diffamazione. In tal caso le sanzioni pecuniarie diventerebbero al limite del proibitivo.
E poi c’è il capitolo web, definito da Maurizio Gasparri, senatore Pdl, il «capitolo più complesso». Non è chiaro se la legge sarà estesa “tout court” anche alle testate telematiche, o ci sarà qualche limitazione. Si è parlato di inglobare nelle nuove norme solo le testate online dei quotidiani cartacei. Molti esponenti del Pdl vorrebbero estendere le norme anche ai blog privati. In effetti in alcuni casi hanno una eco non inferiore a molti giornali telematici. E una eventuale loro diffamazione non avrebbe conseguenze meno gravi. I democratici, nei panni di Vincenzo Vita, vorrebbero che il web diventasse una zona franca. Una distinzione che a molti “puzza” di discriminazione.
In ogni caso legiferare sul web è molto insidioso. I diritti della rete e nelle rete non sono stati ancora ben definiti. La giurisprudenza fa fatica a rimanere al passo con le nuove tecnologie. Infatti eliminare completamente un contenuto dalla rete è (quasi) impossibile. Per questo si è pensato di inserire un link (un collegamento ipertestuale) alla notizia diffamatoria per inserire l’eventuale rettifica. Una scelta sicuramente più fattibile rispetto all’eliminazione del testo incriminato sia dal sito, sia che dai motori di ricerca. A tal proposito Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni (Ibl), si auspica: «Che il ddl non si trasformi in un attacco al web».
In ogni caso qualsiasi sia il risultato finale rimangono numerosi punti interrogativi. La diffamazione, rappresentando una lesione all’onore, va punita subito. Questo è quanto traspare dal nuovo ddl. Di conseguenza la rettifica dovrà essere veloce. Ma è necessaria comunque una decisione di un giudice per stabilire che quel determinato contenuto, sia diffamatorio e necessiti, dunque, di una rettifica. Ma quanto durano i processi in Italia? È realmente auspicabile un processo per direttissima che stabilisca in poche giorni, se non addirittura ore, se la “correzione” è necessaria oppure no?
Insomma, di che parliamo: di rettifiche ritardate e di diffamazione impunita?

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