COPYRIGHT SU INTERNET: IN ATTESA DEL REGOLAMENTO AGCOM, CONTINUA LA DIATRIBA TRA LIBERISTI E PROTEZIONISTI

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La tutela del copyright su internet, nel nostro Paese, continua ad essere al centro del dibattito politico che è anche – e soprattutto – normativo. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni sta lavorando per approvare un nuovo quadro regolamentare che darà nuovi poteri all’Autorità. Nello specifico, l’Agcom avrà la possibilità di procedere per via amministrativa alla rimozione selettiva dei contenuti protetti. Fino a oggi l’interdizione di un sito è stata materia della magistratura. Con il nuovo impianto l’Agcom potrebbe, invece, concorrere a questo genere di attività. «Ma attenzione ai travisamenti – ha sottolineato il presidente dell’Authority, Corrado Calabrò (foto) – perché lo schema di regolamento non richiede ai provider internet alcuna verifica preventiva, nessun filtraggio ma una volta accertata, a seguito di un procedimento, una violazione delle norme sul copyright a essi può essere chiesto di non trasportare più quei contenuti».
La guerra di principi, di libertà, di diritti ma soprattutto di interessi materiali tra chi sostiene che i diritti degli autori debbano essere protetti (come la Siae e le grandi case discografiche) e chi, invece, difende la libertà della rete è appena iniziata. In un’intervista pubblicata oggi su Il Sole 24 Ore, Carlo D’Asaro Biondo, vicepresident di Google e country manager ad interim per l’Italia, sottolinea che il vero problema non è decidere chi oscura ma piuttosto «fare chiarezza su cosa è lecito oscurare. Cioè su cosa vìola effettivamente il diritto d’autore». Inoltre, afferma che «Google ha un atteggiamento molto responsabile nei confronti del diritto d’autore» perché senza protezione dei contenuti si danneggia la creazione. Però, aggiunge, è necessario tutelare la libertà di espressione dei soggetti più piccoli.
A livello internazionale un grosso colpo alla pirateria è stato dato dall’Fbi lo scorso 19 gennaio con la chiusura del sito Me-gaupload.com, un cyberlocker, ovvero un fornitore di spazio dati per privati. Sui circa 30 petabyte a disposizione degli utenti (un petabyte equivale aun milione di giga) potevano essere quindi caricati, conservati e scambiati file privati, in pratica tutti coperti dalla legge sulla proprietà intellettuale. Per un danno stimato, secondo il Dipartimento di giustizia americano che ha collaborato al blitz, pari a 500 milioni di dollari. Il punto è che l’attività di Megaupload non era no-profit perché la piattaforma gestita da Kim Dotcom – alias Kim Schmitz, un cracker già condannato per insider trading – ha guadagnato grazie ai banner pubblicitari 175 milioni di dollari a fronte di 180 milioni di utenti registrati, 2mila server forniti da tre diversi Isp e 50 milioni di visite giornaliere che ne facevano il 13esimo sito più frequentato di internet a livello mondiale.

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