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CONTRIBUTI DIRETTI E INDIRETTIA AI GIORNALI. SU “PANORAMA”, BELPIETRO ATTACCA FELTRI

Il 21 agosto scorso, Vittorio Feltri, rispondendo all’inchiesta pubblicata sul numero di “Panorama” di quella settimana, in un editoriale, tornava a parlare dei tagli della manovra Tremonti che hanno colpito, tra gli altri, anche il settore dell’editoria. Il numero di “Panorama” del 14 agosto dedicava ampio spazio al problema dei contributi all’editoria con una sorta di inchiesta correlata di tabelle e di due commenti, uno del direttore di Maurizio Belpietro e l’altro di Giuliano Ferrara.
Il direttore di Libero scriveva quanto segue:
“Secondo tradizione “Libero” è collocato dal settimanale nel mucchio dei presunti privilegiati e gli è assegnato il ruolo di pietra dello scandalo. Ciò che sorprende non è il tono indignato di Belpietro, ma l’accuratezza con cui il direttore evita di annoverare il proprio magazine e il proprio editore, cioè Mondadori, nella lista dei fortunati aventi diritto a riscuotere gli immondi finanziamenti. La quale Mondatori, si da il caso, detiene un invidiabile primato: è in testa alla classifica dei beneficiari dello Stato. Ma questo non trascurabile dettaglio a Belpietro conviene tacerlo.
“Panorama” distribuisce circa 250 mila copie in abbonamento e allo scopo utilizza il servizio postale. Non c’è niente di male, per carità, basta pagare. E per pagare, paga, eccome se paga. Ma solamente il 50% dei costi effettivi di spedizione. Chi versa il rimanente 50%? Lo Stato. Il quale pesca i soldi nel medesimo fondo per l’editoria che fa schifo a Belpietro, perché non è interamente suo, ma un po’ anche nostro e di altri giornali.
Se teniamo conto che la Mondadoti ricorre alle Poste non solo per “Panorama” bensì per tutte le numerose testate, si comprende perché è fortissima nel prosciugare la dotazione del fondo”.
Oggi, sempre su “Panorama”, Maurizio Belpietro risponde così a Feltri:
“Il direttore di Libero gioca sulla scarsa conoscenza della legge sull’editoria. Da molti anni esiste una norma che riconosce ai giornali uno sconto sulle tariffe postali. È un provvedimento adottato da tutti i Paesi europei e che mira a favorire la lettura e gli abbonamenti. Distribuire costa e gli editori tagliano le diffusioni concentrandosi sulle edicole dove si vende di più e dove arrivare costa di meno. Allo sconto hanno diritto tutti i giornali.
“Panorama” beneficia della tariffa agevolata e per ognuna delle 220 mila copie che spedisce paga 0,36 centesimi, che sono pochi in meno rispetto a quelli versati nei Paesi europei per analoghi servizi. “Panorama” e la Mondadori non incassano un euro, semmai i soldi li prendono le Poste sulla base di una trattativa che fanno con la Presidenza del Consiglio. E’, insomma, un sistema pulito, che non altera la concorrenza, simile agli sconti per chi istalla finestre a risparmio energetico o pannelli solari.
Ciò di cui godono i giornali di partito è, invece, ben diverso. Si tratta di un finanziamento basato sulle spese e che prevede un contributo a piè di lista dell’ordine del 60-70 per cento. In pratica questi quotidiani più spendono e più ricevono. Più copie tirano, anche se non le vendono e più incassano. Per ottenere i soldi un giornale deve far capo a un gruppo parlamentare, a un movimento politico o a una cooperativa. Questo è il fondo da cui “Libero” attinge quasi 8 milioni di euro l’anno.
Ma cosa c’entra il quotidiano di Feltri con i giornali di partito? Niente. C’entra solo per via di un furbo espediente escogitato 8 anni fa, quando “Libero” fu fondato. Siccome nessun editore era disposto a metterci troppi soldi e Feltri non era disposto a rischiare i suoi, qualcuno si ricordò che esisteva un bollettino mensile del movimento monarchico italiano, “Opinioni nuove”, registrato fin dal 1964 presso il tribunale di Bolzano. L’editore di Libero prese in affitto la testa in cambio di 100 milioni di lire: un affare per i nostalgici del re ma soprattutto per Feltri e i suoi, i quali si inventarono una specie di supplemento quotidiano di “Opinioni nuove”. In grande si leggeva Libero, in piccolo, con lente di ingrandimento, la testata del Mmi, quella che aveva diritto ai contributi dello Stato.
Appena un anno dopo, “Libero” comprò la testata dai monarchici per 500 milioni di lire. Chi di voi non pagherebbe 500 milioni di lire una tantum per incassare in 7 anni quasi 40 milioni di euro e chissà quanti altri nel futuro?
Certo, bisogna riconoscere che a differenze delle altre imprese consimili, almeno quei soldi sono serviti a far nascere un giornale importante. A Feltri va dunque dato atto di aver fatto qualcosa di utile. Ma non deve arrabbiarsi se sorrido di fronte la sua arrampicata sugli specchi per giustificare il finanziamento pubblico. È uno stile libero che non gli si addice”.
Per un approfondimento sul tema dei contributi ai giornali e sulle diverse modalità di erogazione vi rimaniamo allo speciale pubblicato nella pagina “studi e ricerche” di questo sito.
Vincenza Petta

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