La Suprema Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha stabilito che svelare l’altrui omosessualità costituisce “diffamazione” e “violazione della privacy”.( così Cass. sent. n. 30369 del 24.07.2012). Non si pone nessun dubbio sul fatto che ciò possa costituire una lesione della “riservatezza”: la sfera della sessualità, infatti, rientra tra i cosiddetti “dati sensibili”, che ricevono massima protezione dal codice della privacy. Qualche perplessità, invece, scaturisce in merito al concetto di “diffamazione” che, come a tutti noto, consiste nella offesa della altrui reputazione (art 595 cod. pen..). È logico pensare che la reputazione possa essere lesa solo attribuendo a qualcuno una condotta illecita o socialmente non approvata. In una società, tuttavia, che non discrimina l’omosessualità, non dovrebbe parlarli di “diffamazione” nel momento in cui si attribuiscono a terzi determinate preferenze sessuali piuttosto che altre. Sarebbe come ritenere diffamatorio dire di qualcuno che è buddista piuttosto che cristiano!
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