BUFERA AL TG1 CONTRO L’EDITORIALE DI MINZOLINI. SE NE PARLERÀ IN COMMISSIONE VIGILANZA RAI

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Non si placano le polemiche a seguito dell’editoriale di Augusto Minzolini, che, a fine telegiornale, ha definito “incomprensibile” la manifestazione sulla libertà di informazione promossa dalla Fnsi.
L’editoriale ha sollevato proteste del Comitato di redazione del Tg1 che ha chiesto di incontrare i vertici aziendali dopo aver diffuso un comunicato: “Il Tg1 non è mai stato schierato nella sua storia contro alcuna manifestazione. Il Tg1 ha per sua tradizione un ruolo istituzionale, non è un Tg di parte. E’ il Tg di tutti i cittadini, anche di quelli che hanno manifestato per chiedere il rispetto dell’articolo 21 della Costituzione”.
La controreplica del direttore Minzolini non si è lasciata attendere. A suo avviso, la nota “del Comitato di redazione è la dimostrazione che c’è chi manifesta per la libertà di stampa, ma è intollerante verso chi ha una opinione diversa”. Paolo Garimberti, presidente della Rai, ritiene però “assolutamente irrituale” l’editoriale di Minzolini di sabato sera. Da qui l’annuncio di una lettera a Mauro Masi, direttore generale della Rai, in cui chiede l’impegno a discutere dell’episodio nella prossima riunione del Consiglio di amministrazione di Viale Mazzini.
Sergio Zavoli, presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, fa intanto sapere che il problema posto dall’editoriale di Minzolini “sarà inserito nell’audizione che si terrà presto dello stesso direttore del Tg1, già prevista al pari di quelle di tutti gli altri direttori di testata e responsabili di rubriche”.

Renato Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione, propone che all’inizio di tutti i programmi della Rai, insieme al nome dei giornalisti, venga reso noto anche l’ammontare del loro stipendio: “Mi piacerebbe che in ogni trasmissione del servizio pubblico fossero resi noti il costo del programma, il compenso di autori e giornalisti, lo share ottenuto nella puntata precedente. Io non permetto che un giornalista mi accusi di appartenere alla casta se poi guadagna dieci volte il mio stipendio”.
Vincenza Petta

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