Bradley Manning, il militare americano invischiato nell’affare “Wikileaks” non se la passa meglio di Julian Assange, il fondatore dell’archivio di scottanti documenti che ha fatto sobbalzare molti grandi nomi su dalle poltrone.
Mentre Assange è in attesa di giudizio dall’Alta Corte di giustizia di Londra da cui è imputato per reati di natura sessuale, il militare statunitense rischia il carcere a vita con ventidue i capi di imputazione che pendono sul suo capo che formalmente si risolvono nell’accusa di favoreggiamento del nemico.
Bradley avrebbe fornito nel 2010 a Wikileaks documenti segreti degli Usa sulla lotta al terrorismo, e rapporti altrettanto riservati sulla guerra in Iraq ed Afghanistan, un “incidente diplomatico” per cui secondo l’art. 104 del codice di giustizia militare Usa, è prevista come pena massima teorica anche la pena di morte, ma non applicabile in questo caso.
In carcere dal Maggio 2010 il giovane soldato scelto è in attesa della prossima udienza procedurale attesa per metà Marzo, ma è polemica per le condizioni cui è sottoposto il detenuto.
Tenuto in isolamento per 23 ore al giorno ed in condizioni che ledono la dignità umana, misure ritenute eccessive dai parlamentari europei che hanno sollevato la questione in una lettera aperta alle istituzioni americane ed al presidente Obama, cui non è seguita alcuna replica.
Assange si dice preoccupato per le condizioni della sua talpa, incriminato per aver fornito informazioni scomode per il governo Usa, e crede che l’incriminazione di Manning sia il primo passo per far sì che il giovane confessi la cospirazione con Wikileaks.
Manning sarebbe in questo modo solo una pedina per arrivare ad Assange, che ribadisce di non avere mai sentito il nome dell’imputtao prima che venisse diffuso dalla stampa, e ci tiene a precisare che Wikileaks è stato progettato per garantire l’assoluto anonimato delle fonti che forniscono informazioni, come imprescindibile garanzia per i mittenti di notizie.
Arianna Esposito
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