Argentina. La Suprema Corte rivoluziona i media del Paese

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tv piccolaTerremoto tra i “grandi” media argentini. Una sentenza della Suprema Corte di Giustizia della Repubblica Argentina ha posto fine, il 29 ottobre, a un conflitto giuridico iniziato nel 2009 e ha sospeso una legge approvata a gran maggioranza dai due rami dell’Assemblea legislativa e l’utilizzo di frequenze pubbliche, che la norma dichiarava da riassegnarsi con un criterio di maggior rappresentatività, da parte del Clarín e degli altri pochi gruppi editoriali privati dominanti. Con la nuova legge, la del 10 ottobre del 2009 , ‘Ley de Servicios de cominicación Audiovisual’ nota come ‘Ley de Medios’, viene abolita la legge approvata durante la Dittatura nel 1980 e ispirata dalla Dottrina della sicurezza nazionale imposta dai militari. Oltre al Clarín saranno coinvolti gli spagnoli di Telefé (appartenti alla più nota compagnia Telefonica), gli statunitensi di DirecTV, il gruppo Prisa (gli stessi del quotidiano spagnolo El País e della casa editrice Santillana) e le imprese minori, argentine, Grupo Uno, C5N e Indalo. Dovranno restituire allo Stato circa 330 licenze televisive o radiofoniche a causa della ’concentrazione’ a cui si era giunti e che il potere legislativo ha ritenuto ‘eccessiva’, perché orientata a una struttura oligopolistica e dunque limitativa della libertà di espressione. Il gruppo Clarín possiede oggi più di duecento stazioni televisive, incluse alcune molto seguite come Canal 13 di Buenos Aires e TN, il 41% del totale del mercato delle radio, il 38% di quello delle TV aperte e il 59% della TV via cavo, assorbendo percentuali altissime degli introiti pubblicitari. Possiede inoltre giornali e riviste su tutto il territorio e il 49% di Papel Prensa (il 23% è della Nación e il 27,5% dello Stato) che ha il monopolio della produzione della carta per stampa e di cui entrò in possesso negli anni della dittatura, regime che Clarín sostenne e nel corso del quale riorganizzò e accrebbe la sua presenza nel paese. La Ley de Medios prevede articolate suddivisioni e limiti per consentire la democratizzazione del settore e comunque un tetto massimo del 35% per ognuno dei settori di mercato (radio, tv aperta, tv via cavo). Uno degli altri assi centrali del provvedimento, che potrebbe realmente segnare un cambiamento in positivo e anche a favore delle organizzazioni e delle realtà nate dalle lotte sociali, fissa invece, a livello nazionale, l’obbligo del 33% nell’assegnazione delle frequenze, sia televisive che radio, alle organizzazioni senza fine di lucro mentre riconosce come possibili operatori, oltre alle organizzazioni già indicate, lo Stato e le imprese private con fini di lucro, senza indicare, per queste ultime due, le percentuali. Gli investitori stranieri non potranno superare il 30% del capitale delle entità che si aggiudicheranno le licenze e sono previsti Organismi pubblici, formati da componenti del potere legislativo, esecutivo e regionali, per regolare il settore e un tetto obbligatorio minimo per le produzioni nazionali. Alcune Istituzioni di particolare rilievo – Università e Istituti universitari di portata nazionale, Associazioni rappresentative dei popoli originari, Chiesa cattolica – potranno ottenere le licenze con domanda diretta e senza partecipare alle gare. Gli attuali gestori avranno ovviamente molto da perdere con l’applicazione della norma dovendo cedere una parte delle licenze e ripartire con soggetti più piccoli e multipli una grande fetta dei servizi e della produzione che girano intorno alla comunicazione. Clarín ha subito forti perdite nei mercati finanziari dopo la notizia della sentenza. La legge comunque garantisce un anno di tempo per dismettere le licenze in esubero. Clarín ha però già annunciato che continuerà il suo ostruzionismo verso l’applicazione del provvedimento e farà ricorso ai tribunali internazionali dichiarando che il contenuto della decisione della Corte Suprema “non considera il valore dell’indipendenza giornalistica come presupposto per la libertà di espressione, condizionando seriamente la possibilità reale di esercitare la critica al potere politico, presupposto indispensabile della democrazia”. La sentenza della Suprema Corte e l’inizio dell’applicazione della Ley de Medios aprono la strada verso la possibilità di accesso all’informazione per realtà nuove che potranno dare voce a diversi settori sociali e promuovere diversità e molteplicità. Appoggiandosi, in molti suoi punti, alle proposte della Coalición por una Radiodifusión Democrática, che raggruppa più di 2.000 entità del settore, e alla ‘Dichiarazione di Libertà di Espressione’ della CIDH (Comisión Interamericana Derechos Humanos) del 2000, come sottolinea il ricercatore Damián Loreti, la legge n°26.522 stimolerà l’organizzazione “di uno standard giuridico destinato alla promozione della diversità e del pluralismo”. Anche Martín Sabbatella, presidente della Autorità Federale dei Servizi e delle Comunicazioni Audiovisuali, in netto contraste con le critiche espresse dal gruppo Clarín, ha espresso la sua approvazione definendo la legge come “garanzia per la libertà di espressione (…) opponendosi alla concentrazione monopolistica”. Hebe de Bonafini, delle Madri di Plaza de Mayo, si è detta soddisfatta e ha parlato di passo deciso verso la libertà. A difesa del grandi gruppi argentini la SIP – Sociedad Interamericana de Prensa, che raggruppa i grandi media inclusi quelli statunitensi e canadesi e ha sede a Miami e che ha definito la sentenza come il via libera al Potere Esecutivo “per applicare il suo obiettivo politico di rottamare il Grupo Clarín, limitando ampiamente i suoi margini di azione (…) che danno voce a molti giornalisti critici verso la Presidente Cristina de Kirchner”. Mentre il sindacato dei venditori di giornali e riviste giudica la sentenza come un freno agli abusi verso il diritto del lavoro: “Conosciamo alla perfezione il modo di agire dei grandi monopoli della comunicazione. Tutti i giorni subiamo l’erosione dei diritti lavorativi e sociali da parte di questi mezzi di comunicazione. L’approvazione della nuova legge significa la consolidazione di un anelito per il quale militiamo da tanti anni”. Ora il conflitto si sposta sui tempi amministrativi, sulla reale applicazione della legge, sulle modalità che le imprese dominanti metteranno in moto per conservare le posizioni di controllo e nei ricorsi internazionali. Cristina Fernández è indebolita dalla malattia, dall’impossibilità di essere nuovamente la candidata alla presidenza per il 2015, per aver ricoperto la carica in due mandati successivi, dalle scissioni che ha subito il suo Frente Por la Victoria,dalla frammentazione dei gruppi e partiti riconducibili alle sue posizioni politiche. Ma al di là della presidente e dei cambiamenti messi in atto dal kirchnerismon resta il passo importante, seppur non definitivo, che tutta la vicenda della Ley de Medios e l’importante sentenza della Corte Suprema hanno permesso, verso il pluralismo nell’informazione che potrà essere acquisito solo se i movimenti e i gruppi sociali sapranno far propria, e portare con forza verso i partiti e le istituzioni rappresentative, l’idea basilare della comunicazione come bene comune e non come fonte di profitto o di controllo della società.

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