Agon Channel, sei operatori televisivi ricorrono contro la delocalizzazione

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Il percorso di Agon Channel continua ad essere travagliato. L’emittente italo-albanese fatica a ritagliarsi una consistente fetta di pubblico e viene vista con sospetto dagli altri operatori televisivi.  I problemi interni non migliorano la situazione. A metà dicembre Antonio Caprarica, responsabile delle news ed ex volto noto della Rai, ha lasciato lo staff lamentando   scarsità di mezzi tecnici e  esiguità di collaboratori: “Ho montato servizi in container non insonorizzati. Non esiste uno studio, né una troupe. Gli unici materiali filmati sono quelli che provengono dalle agenzie e da Youtube”.  Caprarica ha criticato esplicitamente le azioni dell’imprenditore Francesco Becchetti, editore di Agon Channel. Quest’ultimo è stato accusato di aver “riciclato” lo staff per sopperire alla limitatezza delle risorse.   Becchetti non ha digerito le accuse del giornalista e nelle sue ultime dichiarazioni ha gettato benzina sul fuoco.  Caprarica, definito per l’occasione “Capraricca”, è stato accusato con frasi grondanti sarcasmo di non essersi calato a pieno nella realtà di Agon Channel.  Le dichiarazioni del giornalista hanno fatto male ad un’emittente che aveva come principale obiettivo la raccolta pubblicitaria. Non aiuta la mancanza di un piano editoriale, che si riflette in un palinsesto povero e pieno di repliche. Il canale fatica a decollare in termini di programmazione, nonostante la presenza di note star della televisione italiana.

A questa grossa massa di difficoltà si aggiungono le recenti istanze degli editori, che non vedono di buon occhio l’esperimento di Becchetti.    La produzione dei programmi ha luogo a Tirana, ma il canale occupa il numero 33 del digitale terrestre in Italia. Si tratta perciò del primo esempio di delocalizzazione di una emittente. Sei operatori televisivi hanno deciso di ricorrere all’Agcom contro questa anomalia. Il loro ragionamento è chiaro. L’autorizzazione ad Agon Channel potrebbe dare il via ad una serie di delocalizzazioni per produrre i contenuti dove costa meno, sfavorendo il mercato del lavoro in Italia.  Per questo motivo non sono accettabili canali italiani prodotti all’estero .   

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