VIGILANZA: TETTO AI COMPENSI. SI ERA GIÁ DECISO NEL 2010. MA LA RAI PUÓ SOTTRARSI ALLE REGOLE DI MERCATO?

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«La Rai deve dare l’esempio visto il momento di grave crisi», hanno affermato in coro il deputato Fabio Rampelli e il senatore Alessio Butti. I due parlamentari del Pdl hanno recentemente dichiarato che i compensi Rai vanno ridotti. Forse è stato il super compenso di Celentano a Sanremo a ricordare che mamma Rai paga profumatamente “figli e figliastri”.
Mercoledì 29 febbraio ci sarà un incontro tra Vigilanza, il dg Lorenza Lei e il presidente Garimberti. Probabilmente si parlerà anche di questo.
C’è da dire che la volontà di tagliare gli stipendi d’oro di Viale Mazzini appartiene ad un filone carsico che ogni tanto emerge repentino; poi, con altrettanta velocità, si sotterra di nuovo, non lasciando alcuna traccia. Rispolveriamo la memoria.
Nel 2010 l’emendamento Calderoli Bossi alla manovra finanziaria proponeva per Viale Mazzini un tetto alle paghe interne e -20% secco ai costi esterni. Inoltre si prevedeva un taglio del 5 e del 10% agli stipendi dei dirigenti, nonchè un “dimagrimento” totale dell’organico complessivo. Una bella “mazzata” alla tv pubblica, colpevole di suggere troppe risorse. Anche allora c’era la crisi e il contratto di Santoro “faceva scandalo” con i suoi 750 mila euro.
Il consiglio dei ministri approvò questo provvedimento il 10 giugno del 2010. Calderoli esultò affermando che «in tempo di crisi è giusto che ognuno faccia la sua parte, per questo abbiamo messo a dieta anche mamma Rai». I tagli non furono ben accetti dal cda e dalla Slc-Cgil che definirono «sconcertante il licenziamento o il taglio degli stipendi per decreto».
L’ex premier Berlusconi e il suo “braccio destro” Gianni Letta si astennero per evidente conflitto di interesse. Tuttavia Paolo Gentiloni, parlamentare Pd, accusò: «È un fantastico regalo a Mediaset».
Il presidente Rai Garimberti parlò di «misura demagogica che, assimilando la Rai tout court alla pubblica amministrazione le impedisce di fare impresa e di muoversi alla pari con i concorrenti».
In effetti la Rai deve anche competere con le emittenti private e non può sottrarsi alla ciniche regole di mercato. Lo ha ricordato anche Celentano nella recente intervista a Servizio Pubblico. «Ho chiesto di darmi meno, ma ho delle quote di mercato; se ti diamo di meno ci arrestano», ha dichiarato il molleggiato. La Rai può realmente sottrarsi al mercato e rimanere competitiva oppure bisogna “rassegnarsi” ai super stipendi?
Il mese di giugno del 2010 prevedeva un’altra riforma per la tv pubblica: la trasparenza dei compensi e dei costi delle trasmissioni. Il contratto di servizio 2010-2012, approvato all’unanimità proprio in quel periodo, conteneva un emendamento sui titoli di coda, presentato dal capogruppo Pdl in Vigilanza, Alessio Butti. Il provvedimento prevedeva (e prevede, visto che il contratto di servizio non è scaduto) «la pubblicazione nei titoli di coda dei compensi di conduttori, ospiti, opinionisti, nonché dei costi dei format dei programmi di servizio pubblico».
A distanza di quasi due anni bisogna dire che la norma non è stata recepita dall’azienda. Anche il ministro Brunetta, che a più riprese aveva chiesto «di estendere l’operazione trasparenza per la P.A. anche a viale Mazzini» peccò di ingenuità e cantò vittoria.
Mercoledì Butti potrebbe approfittarne per rispolverare la memoria a dg e presidente.
Egidio Negri

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