Turchia, gravi problemi per la libertà di stampa

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In Turchia si susseguono gravi violazioni alla libertà di stampa. I numeri sono esemplificativi: 120 giornalisti imprigionati, 160 agenzie di informazione chiuse, decine di canali televisivi oscurati. Il mantra del presidente Recep Tayip Erdogan è sempre lo stesso. La repressione degli organi di informazione sarebbe giustificata da temi di sicurezza nazionale. Tutti i giornali e le tv fatti chiudere avrebbero svolto propaganda per l’imam in esilio Fethullah Gulen, ipotizzato autore del tentato golpe di luglio. Sotto accusa anche molte testate solidali con i curdi del Pkk, organizzazione terroristica con tendenze indipendentiste attiva nel paese anatolico. La censura di Erdogan coinvolge indistintamente stampa e Internet. Non si contano i blocchi dei principali social network e delle app di messaggistica. Si fa sempre più difficile aggirare le limitazioni governative, dal momento che in molti casi sono state bloccate anche le reti private virtuali. Il modello di Erdogan è la Cina, un paese che non si identifica propriamente ai principi democratici che si sono affermati nel XXI secolo.

La Turchia è quindi un paese in cui la società civile è relegata ai margini della vita politica.- Col controllo dei media Erdogan rafforza la sua immagine di uomo forte del paese. Una situazione che non sembra scuotere più di tanto l’Unione Europea. D’altra parte uno stop ai negoziati di adesione della Mezzaluna all’UE potrebbe comportare una rottura dell’accordo per il contenimento del flusso dei rifugiati. Tra l’altro l’entrata nell’Europa non è più una questione prioritaria per Erdogan, che ha lasciato intendere di volersi affiancare a Russia e Cina nell’Organizzazione di Shanghai. Vi sono stati recenti attriti con la Germania per la questione dell’arresto di Deniz Yucel, corrispondente del giornale tedesco Die Welt. Yucel è stato accusato di propaganda terroristica e istigazione all’odio nell’ambito di un’inchiesta sul collettivo di hacker turchi Red Hack. La cancelliera Angela Merkel ha definito “dura e deludente” la decisione di convalidare lo stato di fermo del giornalista.

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