SUL MANIFESTO GIAN ANTONIO STELLA ORA DIFENDE I CONTRIBUTI

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Parla Gian Antonio Stella del Corriere della Sera: «Bisognava tagliare i privilegi, invece colpiscono i piccoli giornali come il manifesto»
Gian Antonio Stella non ha bisogno di presentazioni. Il suo libro La casta,
scritto insieme a Sergio Rizzo, rappresenta un punto alto del giornalismo
d’inchiesta e denuncia. A lui, così attento ai costi della politica, abbiamo
rivolto alcune domande.
L’esigenza corretta era razionalizzare i fondi per l’editoria, invece i nuovi
provvedimenti dimezzano i fondi per il 2008 a molti giornali di partito e
soprattutto a noi che siamo una cooperativa di giornalisti e lavoratori,
proponendo per di più un regolamento che ogni anno sarà deciso dal governo. Che
ne pensi?

In sé la razionalizzazione non è scandalosa. E un governo democraticamente
eletto fa scelte a nome della maggioranza dei cittadini che l’hanno votato. Ma è
del tutto sbagliata la scelta di andare a tagliare – pur colpendo giornali assai
diversi – là dove è più facile, dove si possono ottenere due piccioni con una
fava: da una parte recuperando soldi e dall’altra colpendo chi tradizionalmente
infastidisce, è in grado di infastidirti o comunque potrebbe infastidirti.
Insomma, bisognava colpire la casta, e alla fine hanno colpito «il manifesto»
e le comunità montane?

Infatti. È incredibile che non si tocchino assolutamente gli stipendi dei
parlamentari; che passi il principio che un deputato che dà soldi al partito
possa, su quelli, non essere tassato. Confermando che c’è una massima attenzione
a non toccare gli stipendi di deputati, senatori, consiglieri regionali, mentre
il governatore della ricchissima California prende 215mila dollari all’anno,
circa 150mila euro, molto meno di quanto prende un qualunque deputato italiano.
Ecco, tutto questo non viene toccato e invece vanno a colpire il 70% delle
indennità dei piccoli presidenti e assessori delle comunità montane, anche di
quelle serie. Alla fine ipocritamente si risparmia sulle comunità montane e sui
giornali di partito e in cooperativa per non toccare invece i veri centri di
spesa. E ovviamente non si può non vedere che a prendere una tale decisione,
come giustamente ha scritto Furio Colombo, sia il titolare del più grande
conflitto di interessi del mondo.
Già, il padrone di larga parte del sistema mediatico è il capo del governo
che decide di tagliare i fondi per l’editoria…

È un fatto curioso, molto, molto curioso. E poi c’è una cosa che mi convince,
sollevata sia da il manifesto, da Avvenire, ma anche dal Secolo d’Italia e
perfino dalla Padania, in una trasversalità saggia, non inciuciona: un paese
deve farsi carico di mantenere più libertà di espressione possibile. Io non sono
d’accordo o raramente con una sola parola di alcuni dei giornali che vengono
colpiti, però è interesse mio come cittadino che questi giornali vivano perché
sono opinioni diverse. La Padania mi avrà attaccato non so quante volte ma io
faccio il tifo perché viva. La libertà non la puoi avere a fette. Ci si risponde
che in altri paesi non è così. Certo, ma in altri paesi non ci sono posizioni di
monopolio o di duopolio che assorbono la stragrande maggioranza della pubblicità
che asfissia tutti i piccoli giornali. Inoltre, sei mesi fa il presidente del
consiglio polemizzando sulla scelta del governo Prodi di vendere Alitalia ad Air
France ha detto una frase: un paese deve sapere sopportare le perdite di certe
aziende. Personalmente penso che non tutti i dipendenti di Alitalia – i
privilegiati e i ricattatori – siano interesse dei cittadini, come non lo è
l’azienda clientelare Amat di Palermo che ha assunto 110 autisti d’autobus senza
patente d’autobus. Ma se per Berlusconi è vitale che lo stato si faccia carico
di alcune spese anche in perdita per una questione di principio come
l’italianità dell’Alitalia, per me è altrettanto essenziale che uno stato si
faccia carico della libertà di espressione massima ottenibile. In un paese dove
la libertà di espressione è già compromessa, perché è molto più facile fondare
una televisione negli Stati Uniti che fondarla in Italia.
Che rispondi a chi sembra dire, come Grillo: bene così, chiudiamoli e la
regola resti il mercato?

Non è affatto di destra invocare il mercato, però per davvero e dappertutto. E
con regole molto chiare. All’estero alcuni conflitti d’interesse sono stati
chiariti all’istante perché altrimenti chi era eletto non si sarebbe mai potuto
insediare. Se il mercato avesse delle regole nette che consentissero a tutti di
giocarsela alla pari davanti ai lettori, in edicola, e alla pari sul mercato
pubblicitario, allora viva quelli che sopravvivono e pazienza per quelli che
muoiono. Ma se parti fin dall’inizio da una posizione molto diseguale, in cui
non puoi giocartela alla pari, il discorso cambia. E poi ora nel governo, An e
la Lega devono riflettere: che scelta democratica è quella che lascia che tutta
l’informazione, anche a destra, sia fatta da chi ruota intorno al presidente del
Consiglio o alla sua famiglia?
(Il Manifesto)

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