C’è l’accordo per la Corporate Tax e, meglio ancora, per le aliquote minime da applicare a livello globale. Non potranno essere applicate tasse a meno del 15 per cento. Lo ha annunciato l’Ocse. Ma ci sono anche tante altre novità. Che impatteranno sulle economie sia su scala locale che internazionale. L’obiettivo, nemmeno troppo velato, è quello di contrastare i paradisi fiscali e, dunque, scoraggiare l’elusione da parte dei grandi gruppi internazionali. L’onda lunga dei Pandora Papers, e prima ancora dei Panama Papers, ha svelato che un problema c’è. E che va affrontato.
L’Ocse ha reso noto che nuovi Paesi si sono uniti alla lotta per una fiscalità giusta, contro il cosiddetto “dumping” fiscale. Adesioni eccellenti sono arrivate dall’Irlanda, dall’Estonia e, infine, dall’Ungheria. In totale, 136 Paesi nel mondo hanno dichiarato guerra ai “furbetti” sottoscrivendo il progetto della cosiddetta Corporate Tax. L’aliquota minima non è nemmeno altissima: si tratta dell’applicazione di un 15 per cento. Non si può andare al di sotto di questa percentuale.
Ma non è tutto. Perché verrà inserito un principio che potrebbe, potenzialmente, riempire le casse dell’Erario di numerosi Paesi. Le multinazionali, quindi anche gli over the top, dovranno pagare le tasse agli Stati al cui interno vengono conclusi gli affari. Un tema antico, ormai. Amazon, Facebook e Google pagheranno le imposte nei Paesi in cui i loro beni e servizi vengono venduti, a prescindere da una presenza fisica o meno all’interno del territorio dello Stato. Il provvedimento rientra nel processo di ridimensionamento delle aziende gigantesche che hanno oligopolizzato interi mercati. A detrimento non solo della concorrenza ma anche del mercato stesso.
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