Fallimento per l’emittente Roma Uno

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Ieri le organizzazioni sindacali e i lavoratori hanno ratificato in Regione che non si poteva più andare avanti. Il fallimento dell’azienda, guidata de facto da Fabrizio Coscione, non imponeva altre scelte. I lavoratori potranno salvare nella procedura fallimentare un pezzo di retribuzioni e il trattamento di fine rapporto. Questa magra consolazione chiude una vicenda dai contorni oscuri. Ancora oggi non sappiamo quale spirito di iniziativa privata abbia mosso un imprenditore a rilevare una impresa del Colari di Manlio Cerroni per un solo euro e a non versare un solo euro di stipendio ai dipendenti, imboccando una strada senza ritorno. Non giudichiamo mai i pensieri e i retropensieri. I fatti ci hanno dimostrato la volontà pervicace di spogliare la società dell’unico bene rilevante: le frequenze. La dignità con cui tutti i colleghi hanno gestito questi mesi, continuando a lavorare fino all’ultimo, non ci deve far nascondere l’altro grande assente dalla partita Roma Uno. Possiamo chiamarlo pluralismo dell’informazione o fragilità di una comunità. Si tratta, alla resa dei conti, di pura e semplice democrazia. Roma Capitale perde un polmone della sua informazione locale. La gente saprà molto meno cosa accade nel proprio quartiere, sotto casa, dietro l’angolo. La fine dell’emittenza locale coincide con la sofferenza dell’anima della capitale. Non è un caso che la riduzione del perimetro informativo che include anche Roma Uno sia coincisa con malversazioni, inchieste come Mafia capitale, tenuta della rappresentanza democratica. Solo un occhio non allenato non comprende che una informazione poco efficace è solo un regalo a chi viola la legge, a chi ha interessi diversi da quelli generali, a una politica irresponsabile. Ma non c’è solo il negativo.Spegnere una voce dell’informazione significa anche non raccontare quello che di buono accade ogni giorno nella Capitale. E’ Roma l’unica città italiana nella quale non si capisce cosa facciano le persone per bene che ogni giorno salgono sui mezzi pubblici, che portano i figli a scuola, che producono, lavorano, soffrono, gioiscono (non solo allo stadio Olimpico), si disperano in nome di una ragione complessiva e collettiva.Speriamo che le istituzioni, politiche ed economiche, sentano il dolore che arriva da questa ennesima ferita ed abbiano il coraggio e la voglia di giocare all’attacco, di rilanciare l’informazione locale, di garantire, in ultima analisi, la nostra democrazia.

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