Roberto Saviano, i “bastardi” e le verità omesse

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In un video diffuso nei giorni scorsi Roberto Saviano ha replicato rispetto alla decisione del giudice delle udienze preliminari di Roma di rinvio a giudizio per una presunta diffamazione a danno di Giorgia Meloni, il leader di Fratelli d’Italia.

Nel video il pensieroso scrittore casertano difende la sua accusa nei confronti della politica romana, ribadendo le accuse circa il trattamento riservate alle navi delle Ong, definite taxi del mare. Argomenta bene, come lui fa da sempre con mestiere, e seguendo il suo consueto schema mettendo da un lato i buoni, ossia il suo lato, e dall’altro, i cattivi, ossia chi non la pensa come lui.

Ma tra un silenzio, un sospiro dimentica per tutto il video di dire quale è la ragione per cui il giudice ha deciso il rinvio a giudizio. Il termine diffamatorio utilizzato nel corso di Piazza Pulita nei confronti della Meloni è, infatti, bastardo, parola che nella lingua italiana significa nato da unione illegittima, o, riferito agli animali, da incrocio tra razze. Questa è la verità e questo sarà l’oggetto del dibattimento. E’ diffamatorio o no utilizzare il termine bastardo per definire una persona che ha idee diverse dalle nostre?

Saviano e i suoi avvocati potranno utilizzare argomenti forti per dimostrare che il termine non è offensivo, anzi, la famiglia nella società contemporanea non è più l’isola che il diritto può solo lambire definita da un noto giurista italiano e secondo una recente indagine oltre la metà degli italiani con un cane ha scelto di rinunciare alla razza, frequentando sempre più canili e associazioni di volontariato che sostengono l’adozione dei cani abbandonati.

Ma chi fa comunicazione politica, come Roberto Saviano, ha il diritto di sentirsi dalla parte del giusto, sempre; ha il diritto di essere vittima, a prescindere; ha il diritto di pensare quello che vuole. Ma ha il dovere di dire la verità. E la verità è che subirà un processo perché ha definito bastarda Giorgia Meloni.

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