RISARCIMENTO DANNO DA PUBBLICITÀ INGANNEVOLE: RIPARTO DI GIURISDIZIONE E ONERE DELLA PROVA

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La corte di Cassazione ha stabilito che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario – e non del giudice amministrativo -, la controversia promossa da un consumatore per conseguire il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale (sotto forma di danno alla salute o danno “esistenziale” dovuto al peggioramento della qualità della vita), facendo valere come elemento costitutivo dell’illecito la pubblicità ingannevole del prodotto (nella specie sigarette del tipo “LIGHT”), recante sulla confezione un’espressione diretta a prospettarlo come meno nocivo.
L’apposizione, sulla confezione di un prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole può essere considerato come fatto produttivo di danno ingiusto, obbligando colui che l’ha commesso al risarcimento del danno, indipendentemente dall’esistenza di una specifica disposizione o di un provvedimento che vieti l’espressione impiegata.
Il consumatore che lamenti di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole ed agisca, ex art. 2043 c.c., per il relativo risarcimento, non assolve al suo onere probatorio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio, ma è tenuto a provare l’esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità e danno, nonché (almeno) la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero derivate le menzionate conseguenze dannose.

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