Rete & web: informazioni, non conoscenza

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“Cari filosofi, fermate i danni dell’ipertrofia tecnologica”. Così titola Repubblica lo scorso 18 aprile l’apertura delle sue pagine di cultura

web-reteL’occasione viene data da un fresco numero monografico della rivista Riga sul filosofo francese Michel Serres, che ha dedicato una vita – oltre cinquant’anni di studi e ricerche – alla comprensione delle mutazioni antropologiche in un mondo in continua e inarrestabile evoluzione, e, da un po’, dell’uomo nei mari della rivoluzione informatica. Il più recente lavoro di Serres, Non è un mondo per vecchi, edito da Bollati Boringhieri, si affaccia infatti sull’ultima delle frontiere possibili, quella dei “nativi digitali”. Tra memoria, cultura, scrittura, e poi computer, smartphone e app, un viaggio denso di scoperte e di sorprese. Ma anche pieno di scogli e di pericoli. Per questo occorre orientarsi, trovare una bussola e, forse, contare sulle dritte di un filosofo. Così osserva Serres: “In passato il maestro poteva presupporre l’incompetenza dei suoi allievi. Oggi non è più così, gli allievi possiedono moltissime informazioni. Dalla presunzione d’incompetenza si è passati alla presunzione d’informazione. Ciò non significa che si possa fare a meno dei maestri, perchè l’informazione non è la conoscenza. Il maestro, ma anche il filosofo, è colui che aiuta a trasformare l’informazione in conoscenza”.

Aldo Masullo
Aldo Masullo

Parliamo allora con un filosofo di lunghissimo corso e di altrettanto lunga esperienza accademica, Aldo Masullo, che ha insegnato per una vita alla Federico II di Napoli filosofia teoretica e filosofia morale. E’ stato fra i più lucidi intellettuali del Pci anni ’70 e senatore Ds fino al 2001.

Serres descrive la nascita di un uomo nuovo, la cui caratteristica base è la quasi totale esternalizzazione della sua memoria e delle sue conoscenze nella rete, nei computer, nei cellulari. Un mondo del tutto nuovo?
Non del tutto, perchè l’esternalizzazione non è solo di oggi, ma viene da tutto lo sviluppo della cultura umana. Un tempo per conservare memoria dei documenti di governo ci si affidava alla memoria di alcuni uomini. Poi venne la scrittura, la prima forma di esternalizzazione. Ci si serve, quindi, di supporti esterni, ma è sempre l’uomo ‘che pensa’ al centro di tutto: c’è il pensiero alla base di ogni processo. Quindi tecniche sempre più raffinate, la grafica, poi la stampa, ora l’informatica. Un passo in avanti, non in senso necessariamente elogiativo, è una constatazione.

La protagonista del mondo digitale di Serres, Pollicina, grazie al suo smartphone ha tutto a portata di… pollice. Un mare di informazioni dal quale rischia di essere travolta.
E’ questo il grande problema che abbiamo davanti. Come nuotare nell’immenso mare che è a nostra disposizione. Come non annegare, tenerci a galla e proseguire nel viaggio. Quanto più aumenta la potenza tecnica dell’uomo – qui sta il nodo – tanto più forte c’è bisogno di avere degli strumenti per governare questa potenza. Altrimenti ne siamo in balia. Paradossalmente, oggi quanto più cresce la disponibilità di strumenti tecnici nuovi e all’avanguardia, tanto più cresce la debolezza della vita associata. Il mare nel quale nuotiamo è un immenso bacino di nozioni, di informazioni, impensabile e inimmaginabile fino a qualche tempo fa, il privilegio dei potenti quali Augusto o Luigi XIV, come precisa Serres: e ora, miracolosamente, nella disponibilità di tutti, di milioni e milioni di persone. Un’utopia che diventa realtà.

Ma c’è il rovescio della medaglia…
Un rovescio molto complesso, denso di problemi. E di rischi. In primo luogo, parliamo di un mare di nozioni, di notizie, di informazioni. Uno sterminato bagaglio pieno anche di numeri, di calcoli, di statistiche. Ma da qui alla conoscenza ce ne passa…

La stessa differenza che passa tra erudizione e cultura, per certi versi.
Esatto. Una massa enorme di nozioni non fa cultura, non significa certo conoscenza. Faccio spesso il paragone col tecnico dei computer. Si guasta, lo chiami, lui fa una serie di prove, non è in grado di fare una diagnosi precisa, non effettua una procedura logica rigorosa, ma alla fine risolve il problema dopo test e prove. Perchè l’umanità possa svilupparsi in modo pacifico, con un minimo di coesione sociale, c’è bisogno di conoscenza. Lo vediamo in questi tragici giorni con l’ecatombe dei migranti. E’ la conoscenza, non una somma di dati e numeri, a far crescere i rapporti umani, a coniugare i rapporti economici e i programmi di sviluppo sociali, a consentire di effettuare raffronti tra le vite di società diverse.

Ci sono altri rischi dentro la rete?
Un rischio forte è per la democrazia. Che ancora una volta paradossalmente dovrebbe crescere per via di una possibilità di accesso pressochè totale e invece può subire dei contraccolpi. Partiamo dall’agorà ateniese: tutto semplice, bastava un piazza neanche tanto affollata perchè non c’erano donne, schiavi, stranieri, contadini. Ora le cose sono parecchio più complesse, perchè con la democrazia via rete siamo in presenza di un enorme numero di soggetti coinvolti, con tutto il corredo di questioni relative alla riservatezza e alla pubblicità. Ma il nodo è un altro ancora: le tecniche oggi sono molto sofisticate, ma la politica è rozza.

Cosa intende con questo?
Molta democrazia in rete è in realtà un surrogato molto lontano della democrazia. Mi spiego. La democrazia è costruita sulla dialettica, sul confronto delle idee e delle posizioni. Qui molto spesso invece siamo in presenza di domande e risposte, un sì o un no.

Una democrazia dei sondaggi, barri una casella e la tua partecipazione finisce lì quando caso mai pensi di contribuire a cambiare il mondo.
E’ la democrazia del tutti hanno detto ma nessuno ha pensato.

Una perfetta salsa orwelliana. Dove a questo punto la memoria storica perde il suo ruolo. E la memoria, nei ragionamenti di Serres, è un ingrediente non da poco, anche se controverso, quando dice: “stiamo perdendo la memoria, ma l’oblio è una facoltà cognitiva molto importante”…
C’è un doppio senso, anche nella memoria. E’ fondamentale, imprescindibile, per ogni società che voglia andare avanti, avere una memoria di sé, un enorme bagaglio d’esperienza al quale attingere. Ma attenzione, ciò non può e non deve diventare un ostacolo al nuovo, altrimenti diventa ossificazione. Come se finisse per ostruire i canali d’accesso alla conoscenza che si forma, ai nuovi saperi. La memoria deve essere il collante che porta dalla conoscenza alla nuova azione, all’orizzonte che si apre e guarda avanti, senza paura. E che la memoria sia un pezzo fondamentale di noi è dimostrato proprio dal supporto esterno per antonomasia, il computer: cosa ci metto dentro se non ho memoria? E poi, del resto, parliamo di memoria del computer…

Nella guerra tra vecchio e nuovo, quale pensa sarà il futuro dei libri, oggi sempre più insidiati dagli e-book?
Ecco, il libro è secondo me l’esternalizzazione più forte nella storia della cultura. E’ la forza del libro cartaceo che ha conservato la scienza, la letteratura, la filosofia. La pagina scritta, stampata è fondamentale per la conoscenza, per l’apprendimento. Non si tratta di una questione sentimentale, ma concreta, razionale. Il libro è uno strumento vivo, in carne e ossa. Se lo leggo in senso forte, ci annoto a margine, sottolineo. Il libro rappresenta il suo tempo, è la sua storia. E’ la conoscenza.

E quello digitale, l’e book?
Fugace come il vento. Si scarica e basta. A mio parere non crea alcun rapporto tra l’uomo e la sua memoria esternalizzata. Cosa che il cartaceo realizza, perchè diventa memoria viva, confronto con se stesso.

Una previsione su questo nuovo mondo dei nativi digitali. Leggeranno ancora giornali, o moriranno (i giornali cartacei…)?
La stampa non può morire. Se per il libro cartaceo la questione è molto forte, qui lo è meno perchè parliamo di informazione quotidiana, quindi effimera, un giorno. Ma l’informazione in sè non può finire: certo deve cambiare, adeguarsi al suo spazio che però esiste, farsi approfondimento, ricerca, confronto, analisi, discussione, cose che negli altri ‘luoghi’ non si esercitano. Non cronaca, è ovvio, perchè la rete ha tempi reali.

Una considerazione finale.
Una società in cui tutto il procedimento culturale venga ridotto a semplice conservazione e trasmissione informatica perderebbe se stessa. E in questo caso, più che di imbarbarimento, parlerei di abbrutimento.

Fatti non foste a viver come bruti – scriveva qualcuno a Firenze settecento e passa anni fa senza twittare – ma per seguir virtute e conoscenza. Forse è ancora così.

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