Questione Rai e trasparenza. La deludente vigilanza dell’Agcom

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cavallo raiNei giorni scorsi è passata quasi in sordina, con la sola sorprendente benedizione della CGIL, la notizia della costituzione del “cartello” delle maggiori emittenti televisive, nessuna esclusa, riunitesi sotto l’egida della Confindustria, con il dichiarato scopo di combattere la battaglia sul copyright e con quello meno dichiarato, ma sottinteso, di difendere i propri interessi contro Governo, Parlamento ed Autorità Indipendenti che, eventualmente, dovessero metterli in pericolo.

L’iniziativa rappresenta un segnale preoccupante per utenti e consumatori, soprattutto se messa in relazione al calo di attenzione verso i diritti degli utenti radiotelevisivi che emerge dall’ultima Relazione Annuale dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, presentata alla Camera dei Deputati.

L’analisi dei commissari Agcom, infatti, approfondisce la congiuntura economica negativa del mercato televisivo, più marcata per le emittenti in chiaro, rispetto a quelle a pagamento, ma dedica poche righe alle questioni che riguardano più direttamente i telespettatori, quali ad esempio la trasparenza del servizio pubblico radiotelevisivo, e cioè come vengono utilizzate le risorse che derivano alla Rai dalla tassa sul possesso del televisore.

 La Relazione, infatti, mentre rimanda al sito web della concessionaria sia per quanto riguarda la nebulosa relazione di una Società esterna incaricata di verificare la regolarità della cd. “contabilità separata”, sia per l’elenco dei programmi definiti di servizio pubblico, nulla dice circa l’applicazione dell’art. 27 del Contratto di Servizio vigente – ancorchè scaduto a Dicembre scorso – che richiede alla Rai di pubblicare “sul proprio sito web gli stipendi lordi percepiti dai dipendenti e collaboratori, nonché informazioni sui costi della programmazione di servizio pubblico”.

Il silenzio dei vertici Agcom sulla delicata problematica non tiene conto, non solo dei diritti dei cittadini che pagano il cd. canone, ma nemmeno delle recenti iniziative del Presidente dei Deputati del Pdl che ha presentato un esposto denuncia alla Procura della Corte dei Conti per segnalare l’eventuale responsabilità della Rai, connessa con la violazione dei principi di trasparenza, tracciabilità dei costi e dei limiti massimi degli stipendi. Il capogruppo del Pdl alla Camera aveva già presentato, lo scorso 12 giugno (e prima ancora nel novembre del 2012), un’interrogazione al presidente della Commissione di Vigilanza, per chiedere che fine avessero fatto proprio le disposizioni dell’art. 27 del Contratto di Servizio. “Le norme – aveva sottolineato l’on. Brunetta nell’interrogazione – ci sono, vincolanti, ma inattuate. Non ci sono scuse che valgano e i dirigenti della Rai non possono accampare nessun alibi per evitare questi doveri di trasparenza previsti dal contratto di servizio”.

Per quanto tempo ancora le domande poste nelle interrogazioni e le richieste di chiarimenti in merito al rispetto delle norme vigenti rimarranno inevase?

In verità, una piccola speranza l’ha recentemente accesa il Vice Ministro al Ministero dello Sviluppo con delega alle Comunicazioni, Antonio Catricalà. L’ex Presidente Antitrust si è mostrato determinato nel chiedere un’adeguata e tempestiva discussione, con tutti i soggetti interessati, sui temi relativi alla concessione del servizio pubblico radiotelevisivo che scade nel 2016. Una Rai poco trasparente e che non viri decisamente il timone sulla programmazione di qualità, ha fatto intendere, non può ritenersi così sicura di ottenere un tacito rinnovo della concessione, in quanto non esiste “alcuna norma costituzionale che vieti al Parlamento di assegnare il servizio pubblico ad altri soggetti”.

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