Pluralismo e contributi pubblici: la Consulta salva il “criterio dello scalino” per le TV locali
La sentenza n. 44 del 15 aprile 2025 della Corte Costituzionale in materia di sostegno pubblico all’emittenza radiotelevisiva locale è passata abbastanza inosservata, nonostante gli interessanti risvolti giuridici.
In particolare con questa sentenza la Corte ha affrontato uno snodo delicato del rapporto tra informazione e sostegno pubblico, rigettando le censure di incostituzionalità sollevate dal Consiglio di Stato in merito alla modalità di riparto dei contributi statali destinati alle emittenti televisive locali. In particolare, è stato ritenuto conforme alla Carta il meccanismo noto come “criterio dello scalino preferenziale”, che assegna il 95% delle risorse alle prime cento emittenti in graduatoria e solo il 5% alle successive.
Il caso era stato sollevato nel contesto di un ricorso al TAR del Lazio da parte di una emittente collocatasi oltre il centesimo posto nella graduatoria ministeriale per i contributi pubblici. Il TAR aveva rinviato la questione al Consiglio di Stato, che a sua volta aveva rimesso la normativa al vaglio della Corte Costituzionale, ipotizzando un possibile vulnus agli articoli 3, 21 e 117 della Costituzione, in relazione ai principi europei di concorrenza e pluralismo.
Secondo i giudici amministrativi, il criterio del 95%-5% avrebbe potuto introdurre un’ingiustificata disparità di trattamento, cristallizzando una struttura oligopolistica del sistema televisivo locale, a scapito delle realtà più piccole e innovative.
La Consulta ha respinto le censure motivando che il pluralismo non deve essere solo valutato con riferimento alla numerosità dei soggetti, ma anche alla qualità dell’informazione prodotta.
Il giudice delle leggi ha osservato che “l’intero ecosistema dell’informazione è oggi radicalmente cambiato”, segnato dalla smaterializzazione della produzione dei contenuti, dalla caduta delle barriere all’accesso e dalla diffusione della comunicazione digitale. In questo scenario, “la sfida centrale non è più quella di moltiplicare le voci, bensì di garantire la qualità dell’informazione”, individuando nel ruolo professionale del giornalista una funzione essenziale.
Il sistema del “doppio binario”, secondo la Corte, incentiva l’efficienza e la professionalità: solo le emittenti che rispettano standard più elevati, in termini di risorse giornalistiche, investimenti e copertura territoriale, accedono alla quota maggioritaria del contributo. Le altre non sono escluse dal sostegno, ma ne ricevono una porzione più contenuta.
Di grande rilievo è anche il passaggio con il quale La Corte costituzionale ha ricordato come al legislatore sia riconosciuta un’ampia discrezionalità nel disegno delle politiche di sostegno all’informazione. Tale discrezionalità, pur non illimitata, consente l’adozione di criteri selettivi che non si risolvano in un’arbitraria esclusione, ma che siano fondati su obiettivi di interesse generale. In questo caso, il perseguimento di un’informazione locale professionale, diffusa e verificabile, è ritenuto un fine legittimo e coerente con gli articoli 3 e 21 della Costituzione.
La sentenza è stata accolta con favore dalle principali associazioni delle emittenti locali maggiori, che vedono confermata la bontà di un modello basato sul merito e sulla capacità operativa. Più critici, invece, i rappresentanti delle piccole emittenti, che lamentano una sostanziale “discriminazione sistemica” e chiedono una riforma del sistema dei contributi che tenga conto delle nuove dinamiche dell’informazione digitale.
In realtà, nonostante le chiari indicazioni fornite dalla Corte, appare opportuna una revisione dell’impianto delle norme che pur favorendo le emittenti che hanno un numero maggiore di giornalisti professionisti ed un maggior riscontro in termini di ascolto, non penalizzi eccessivamente i soggetti più piccoli, creando uno scalino alla centesima posizione che divida il settore in maniera perentoria in grandi e piccoli.