Editoria

E’ morto Piero Ostellino, grande penna della politica italiana e internazionale

E’ morto a 82 anni il giornalista Piero Ostellino. Ne ha dato notizia il “Corriere della Sera”, giornale in cui ha scritto per quasi mezzo secolo. Nel ricordo, firmato da Antonio Carioti, è stato descritto come un “convinto liberale e garantista”. Il riferimento è alla fiera opposizione di Ostellino allo statalismo e all’interventismo della politica nell’economia. A prescindere dalle opinioni politiche, ci lascia una delle più grandi penne del giornalismo italiano ed internazionale. Colto, preciso e mai banale, Ostellino ha sempre esposto fatti e opinioni senza alcun condizionamento esterno.
Nato a Venezia nel 1935, Ostellino si è laureato in scienze politiche presso l’Università di Torino. La sua stimata carriera, cominciata precocemente, è legata al “Corriere della Sera”. Ha svolto diversi incarichi per il quotidiano di Via Solferino dal 1967 al 2015. Ha diretto il quotidiano dal 1984 al 1987. Ha anche svolto le funzioni di editorialista e gestito la rubrica settimanale “Il dubbio”, in cui ha evidenziato le contraddizioni della politica italiana da Tangentopoli ai giorni nostri. Prima di cominciare la sua cinquantennale esperienza al Corriere, il giornalista ha fondato il Centro di ricerca e documentazione “Luigi Einaudi” (1963) e la rivista “Biblioteca delle Libertà” (1964). Dal 2015 ad oggi ha scritto per il quotidiano “Il Giornale” , dopo una separazione non idilliaca con il suo storico quotidiano. L’allora direttore Ferruccio De Bortoli fece di tutto per trattenerlo, ma non riuscì a mediare un accordo tra Ostellino e l’azienda, decisa a tagliare i contributi degli editorialisti.
Grande esperto di paesi comunisti, Ostellino è stato corrispondente da Mosca nel quinquennio 1973-1978 e da Pechino nel biennio 1979-1980, sempre per il “Corriere”. Ha inoltre diretto l’Istituto per gli studi di politica internazionale di Milano (Ispi) dal 1990 al 1995. Il giornalista non ha mai nascosto la sua adesione ai valori del liberalismo. E’ stato particolarmente legato alla scuola illuminista anglosassone, che ha in John Locke e Adam Smith i suoi più illustri esponenti. Il suo personale rifiuto dell’ideologia comunista si riflette nei libri “Vivere in Russia” (1977) e “Vivere in Cina” (1981), basati sulle sue esperienze come corrispondente negli Stati “rossi” più importanti del periodo della Guerra Fredda. Ha vissuto in prima persona l’Unione Sovietica nell’era Breznev e la Cina durante il periodo riformatore di Deng Xiaoping. Anni che gli hanno permesso di sviluppare un dissenso nei confronti del comunismo, non legato a pregiudizi, ma basato sull’osservazione dei meccanismi concreti che regolavano la vita dei cittadini sovietici e cinesi.
Nei suoi ultimi anni di carriera ha criticato le politiche dei partiti di destra, ritenute troppo assuefatte a logiche dirigistiche e assistenzialistiche. Il suo ultimo libro, “Lo stato canaglia” (2009), si focalizza proprio sugli effetti venefici dell’intreccio tra politica ed economia e sul ruolo crescente e ingombrante in campo politico della magistratura.

Giuseppe Liucci

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