PDL: ABOLIRE L’ORDINE DEI GIORNALISTI? SI, NO, FORSE…

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Un solo articolo. Tanto basta a Raffaele Lauro, senatore Pdl di origine campana, per dire la sua in merito all’ordine professionale dei giornalisti: va abolito. Il testo del disegno di legge 2496, presentato il 10 dicembre 2010 al Senato e attualmente al vaglio della II Commissione Giustizia recita: “la legge 3 febbraio 1963 n. 69 (quella che, per l’appunto, istituisce l’ordine, ndr.) e il relativo regolamento di esecuzione (…) sono abrogati”.
Il progetto del senatore Lauro non soffre di solitudine. Alla Camera dei Deputati due parlamentari del Popolo della Libertà, Guglielmo Picchi e Gabriella Carlucci, hanno presentato con la proposta di Legge 3913 del 29 novembre 2010 (precedente di appena due settima il disegno del collega Lauro) un’idea simile: abolizione dell’ordine dei giornalisti e creazione di un registro al quale possano iscriversi liberamente i “professionisti”, ovvero quelli che, in vario modo, fanno del giornalismo la loro principale fonte di sostentamento. La proposta di Legge, con i suoi 5 articoli, è all’esame della VII commissione Cultura.
Simili nelle finalità, le due proposte presentano le stesse motivazioni a sostegno. Lotta a una corporazione autoreferenziale, scioglimento di un istituto illiberale nella suo porre vincoli all’accesso alla professione, tutela dell’articolo 21 della Costituzione italiana: le vicinanze sono tali che i due comunicati di presentazione redatti dai tre parlamentari sono praticamente interscambiabili.
Il consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, lo scorso autunno, non ha preso bene la notizia che si tornasse a discutere in maniera quasi simultanea nelle due camere del Parlamento della sua abrogazione. In una nota ufficiale ebbe a parlare “di una ritorsione e di atti intimidatori” da parte della maggioranza di governo nei suoi confronti, dal momento che le due iniziative legislative venivano a poca distanza dalla sospensione comminata dallo stesso consiglio a Vittorio Feltri.
Certo, data la tempistica non si può dire che i sospetti espressi dagli esponenti del consiglio nazionale fossero del tutto infondati; ma non si può con questo dire che l’abolizione dell’ordine sia un argomento caro solo ai pasdaran del premier. Anzi, il tema trova simpatie trasversali sia nel mondo politico che nell’universo stesso del giornalismo e si è spesso riproposto nell’agenda pubblica italiana.
Istituito nel ’63 con la legge citata in apertura come ente pubblico, “nipote” dell’albo di epoca fascista, l’ordine ha da subito conosciuto acerrimi nemici, dei quali è il primo ispiratore Luigi Einaudi. Quello che sarebbe divenuto il secondo presidente della Repubblica italiana nel 1945, di fronte alle prime ipotesi di costituzione di un ordine per i giornalisti, vi si oppose strenuamente definendolo “immorale”, o meglio un modo per “resuscitare i peggiori istituti delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli, dei non-conformisti”.
Sotto traccia, tentativi di abolire l’ordine se ne sono fatti con continuità: rimanendo nella prima Repubblica, è degli anni ’70 la proposta di legge dell’allora presidente dei Repubblicani Ugo La Malfa per l’abrogazione dell’ordine. In tempi più recenti, invece, si ricordano il referendum abrogativo indetto sullo stesso tema dai Radicali nel ’97 (che non raggiunse il quorum necessario, ma al quale il 65,5 per cento dei convenuti alle urne si dichiarò favorevole), o la proposta di legge dell’estate 2006 di Daniele Capezzone, allora deputato della Rosa nel Pugno, e Michele De Lucia per l’abrogazione della legge numero 69 del ’63 e la creazione di una “tessera di riconoscimento professionale” di competenza dell’Agcom.
Evitando di inoltrarci nello scivoloso campo delle ragioni di chi nei decenni si è dichiarato a favore o contro l’Ordine dei giornalisti, si può azzardare un pronostico: le iniziative legislative del senatore Lauro da una parte e del duo Carlucci-Picchi dall’altro sono destinate a rimanere tali: iniziative, per l’appunto, ma non leggi, accomunate in questo nel destino fallimentare di tutti i precedenti tentativi abrogativi della storia repubblicana italiana.
La previsione non è dettata tanto dal fatalismo, o dalla considerazione che in Italia le discussioni circa l’opportunità di abrogare gli ordini professionali tutti si sono sempre impantanate nelle sabbie mobili, ma dalla considerazione che alla Camera sta marciando un’altra iniziativa, per varie ragioni più solida, tesa alla riforma e non all’abolizione dell’ordine.
A rendere la proposta 2393 il cavallo sul quale puntare sono due ragioni: la prima è il suo essere stata presentata da un novero bi- (se non addirittura tri-) partisan di deputati; la seconda il godere dell’avallo dello stesso consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti, del quale recepisce il cosiddetto documento di Positano del 2008.
Presentata il 22 aprile 2009 da Giuseppe Pisicchio, eletto nell’Idv oggi nell’Api, Sandra Zampa e Giorgio Merlo del Pd, Giancarlo Mazzucca e Piero Testoni del Pdl, Francesco Pionati già Udc ora dell’Adc, Roberto Rao dell’Udc, Matteo Salvini della Lega Nord, Giuseppe Giulietti dell’Idv e Giancarlo Lehner attualmente nel gruppo dei Responsabili, la proposta è all’esame della VII Commissione Cultura. Se il Governo dovesse dimostrare la forza e la volontà di intervenire sull’ordine dei giornalisti, è allora facile immaginare che punterà sulla riforma e non sull’abrogazione; in attesa delle nuove iniziative in merito che verranno nelle legislature di qui a venire.
Roberto Procaccini

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