Parte l’asta delle frequenze. Pochi editori interessati. Forse Cairo farà il pieno…

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tv localiIl prodotto presenta qualche difetto di fabbrica, ma il prezzo in compenso è buono, interessante. E le stesse spese di gestione sono ragionevoli. Benvenuti all’outlet delle frequenze televisive. Alla cassa c’è lo Stato italiano – che mette all’asta tre reti nazionali di ripetitori – mentre cercano il business qualche editore (assai timidamente) e le banche d’affari, ben più attente. Tre reti nazionali vanno all’asta, dunque. Il Garante delle Comunicazioni (l’AgCom) ha fissato i paletti generali della gara (ad aprile 2013) mentre il ministero dello Sviluppo Economico detta le regole operative praticamente adesso, dieci mesi dopo. Arbitro è l’Unione Europea che ha chiesto l’asta – fin dal 2006 – per portare nuovi editori nell’arena della tv italiana. U n’arena dominata ancora da Rai e Mediaset, escluse per legge da questa gara che punta a favorire la concorrenza, come peraltro è fuori Telecom. Aprire il mercato è un tentativo a rischio se l’asta dovesse andare deserta (prima ipotesi); se altrimenti qualche banca d’affari prenderà le frequenze per pura speculazione. Con l’idea – cioè – di pagare 30 un bene che venderà a 100, un domani. Nel 2014, la nostra televisione è il solito campo minato. I tre colossi Rai, Mediaset e Sky dominano sia il mercato gratuito sia quello pay. Ed editori emergenti – come Discovery, il più vitale, braccio italiano del colosso Usa “Discovery Communication LLC” – sono spaventati da una ulteriore trappola: il telecomando. Tu puoi anche comprare le migliori frequenze e lanciare programmi attrattivi. Ma solo in pochi ti cercheranno se il tuo canale è supponiamo al numero 47 del telecomando perché le postazioni migliori sono ormai tutte prese. Peraltro i capi italiani di Discovery dovrebbero spiegare l’investimento prima ai loro legali di stanza a Londra, poi al quartier generale americano. E non è facile convincere alla spesa dei manager esteri che ci considerano un Paese ad alto rischio per la sciagurata tendenza al changing law, a cambiare in corsa le “regole del gioco” e le leggi. Anche Sky Italia studia le regole dell’asta. I conti della paytv, però, non sono floridi. E l’asta, d’altra parte, consente al gruppo di Murdoch di concorrere per uno solo dei tre “lotti” in palio, il “Lotto 2”. Non il migliore. Questo “Lotto 2” usa la tecnologia Vhf. Significa che Sky sarebbe chiamata a forti investimenti per raggiungere davvero il 91,1% della case italiane (come promesso dallo Stato che vende). In sostanza, parte delle famiglie sarebbe costretta a cambiare l’antenna sul tetto di casa per agganciare il segnale: fino al 50% (secondo i tecnici della paytv); circa il 14% (secondo il Garante, l’AgCom). La base d’asta del “Lotto 2” è a 29 milioni 824 mila e spiccioli. Prima di sganciarli, Sky giudicherà se sia più conveniente noleggiare gli impianti di una qualsiasi società che offre “capacità trasmissiva”. E ce ne sono (anche tra emittenti regionali come Canale Italia). Tutto fermo, dunque? Un pensiero alle frequenze lo sta facendo – raccontano – Urbano Cairo, che è liquido e valuta di associare altri canali alla sua la7 e a la7d. Il presidente del Torino va tenuto d’occhio. Una banca d’affari non ragiona come un editore. Fa mera speculazione. Compra le frequenze, accende magari una televisione fantasma che nessuno vede aspettando l’occasione giusta per rivendere i ripetitori, a un valore maggiorato. Il pezzo migliore, il gioiello di famiglia è il “Lotto 3”, il terzo appunto di quelli all’asta. Si compone di due canali. Il numero 25 raggiunge brillantemente tutta la Penisola, con l’eccezione di tre regioni. Per questo viene venduto in abbinata al canale 59, che completa il puzzle arrivando in Liguria, Sardegna e Toscana. Questo “Lotto 3”, alla fine, realizza una rete nazionale di qualità pari alle migliori del Paese. Un gioiellino. Base d’asta a 31 milioni 625 mila e rotti. Il canale 59 (uno dei due del “Lotto 3”) ricade peraltro in una fetta dello spettro frequenziale (la “Banda 700”) che comprende tutti i canali dal 49 al 60. Dal 28 novembre 2015, questa “Banda 700” non ospiterà più le semplici trasmissioni televisive, ma sarà destinata alla ben più strategica “banda larga in mobilità”. Sarà l’autostrada che farà viaggiare i dati dei nostri smartphone. Chi compra il “Lotto 3” – dunque – dovrà rendere allo Stato questo canale 59 nel 2015 (perché in “Banda 700”) e riceverà in cambio un canale equivalente, per continuare a fare la tv. In teoria – dicono le regole dell’asta – questa sostituzione dovrà avvenire a costo zero per le casse pubbliche. Nella realtà, chi avrà il canale 59 proverà a vendere cara la pelle e a lucrare una qualche compensazione economica, nel momento in cui dovrà ridarlo indietro. Le regole ministeriali dell’asta impongono al compratore di accendere i ripetitori per davvero. Ma l’obbligo non scoraggerà gli speculatori perché è abbastanza “dolce”. La famigerata banca d’affari avrà 5 anni di tempo per raggiungere il 50% della popolazione italiana. Certo, non potrà illuminare solo la parte più ricca del Paese (tipo la Lombardia, troppo comodo) mentre sarà tenuta ad arrivare ad almeno il 10% di italiani in ogni regione. Il costo di questa illuminazione, però, è contenuto. Chi vuole toccare 10-11 milioni di telespettatori lombardi – ad esempio può limitarsi ad attivare un solo ripetitore sui monti della Valcava (provincia di Lecco). Ed è poca roba. Il ripetitore, peraltro, non va necessariamente costruito dal niente. Basterà chiamare Rai Way – la società dei tralicci della tv di Stato – oppure Elettronica Industriale Towers (famiglia Berlusconi), oppure la stessa Telecom (assai dotata su questo fronte) per noleggiare un traliccio già esistente. Alla fine dei conti, l’intera operazione di illuminazione potrà costare una decina di milioni, ma spalmati in 5 anni. Niente di che… Ora, perché mai un editore televisivo dovrebbe rinunciare a tutte queste frequenze? La partita sarà davvero riservata agli speculatori delle banche di affari? Dell’incognita telecomando, abbiamo già detto. Del dominio di Rai, Mediaset e Sky nella raccolta di pubblicità e abbonati, anche. Ma un nuovo editore avrebbe anche un altro problema. Alcune frequenze in vendita hanno un qualche difetto di fabbrica. Ospiteranno un segnale tv che, in qualche caso, rischia di invadere il territorio di Nazioni confinanti alla nostra. I tecnici più smaliziati sospettano che il canale 23 (“Lotto 1” dell’asta) possa sconfinare verso la Slovenia. Il canale 11 (“Lotto 2”) invadere la stessa Slovenia, la Croazia e l’Albania. Il canale 59 (“Lotto 3”), la Francia. Il Garante nega categoricamente il problema: i rischi di sforamento – lascia intendere – sarebbero limitati al solo canale 23 del “Lotto 1” (bersaglio gli sloveni). Ma chi ha voglia di una battaglia legale o diplomatica con gli amici dell’altra sponda dell’Adriatico? Il viceministro uscente alle Comunicazioni Antonio Catricalà, regista della gara sulle frequenze tv.

fonte:http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2014/02/17/news/parte_lasta_delle_frequenze_pochi_editori_e_banche_daffari_una_gara_ai_minimi_termini-78805718/

 

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