PAR CONDICIO/ PROGRAMMI DI INFOTAINMENT O TRIBUNE POLITICHE? QUESTO È IL DILEMMA

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L’emendamento depositato ieri da Lega, Pdl e Responsabili in Commissione Vigilanza Rai, in vista delle amministrative del 15 e 16 maggio prossimi, intende estendere la nota Legge sulla Par Condicio (L. 28/2000) anche ai talk-show televisivi. Forzare la mano ad una disciplina che distingue chiaramente tra programmi di informazione e comunicazione politica sembrerebbe esserne l’obiettivo primario.
I programmi di approfondimento (e intrattenimento) della televisione pubblica dedicati “anche” alla politica e firmati da giornalisti dal background culturale più disparato come Santoro, Floris, Vespa, Paragone e Ferrara rischiano, dunque, di trovare il semaforo rosso. Oggi il Presidente Vigilanza Rai, Sergio Zavoli, procederà con l’esame della bozza di regolamento contestata da più parti. Dovrà infatti decidere se aggiornare o meno una disciplina da lui stesso predisposta che in realtà già tiene nella giusta considerazione il tema dell’esposizione mediatica delle parti politiche che concorrono alle elezioni, in particolare, ponendo la dovuta attenzione alla frammentazione del voto (trattandosi di amministrative che coinvolgono meno di un quarto dell’elettorato). Qualora venissero accolti gli emendamenti, si otterrebbe di estendere la normativa vigente (che affida già alle testate regionali Rai i programmi di comunicazione politica) anche ai programmi diffusi su scala nazionale. Ma non alle tribune politiche, spazi più consoni per le vetrine dei candidati di tutti gli schieramenti politici. Saranno i programmi di approfondimento come Ballarò, come il programma demonizzato dalla maggioranza (e non solo) “Annozero” o il salotto dell’Italia che comanda “Porta a Porta”, ad essere investiti dall’estensione della Legge.

“I tre emendamenti depositati sono l’applicazione della legge sulla Par Condicio, nello spirito di dare accesso a tutte le forze politiche che concorrono alle prossime elezioni. Forze politiche che abbiano una dimensione consistente e come previsto dalla legge”, queste le parole del capogruppo della Lega Nord in Commissione Vigilanza Rai, Davide Caparini. Dichiarazioni che sembrano però avere la memoria corta. Non tengono infatti conto di una precedente sentenza della Corte Costituzionale (n. 155/2002 richiamata di recente anche da Calabrò) oltre che di un’ordinanza del Tar Lazio dell’anno scorso, che impongono, in termini inequivocabili, di operare una netta distinzione tra comunicazione politica ed informazione. Posizioni che confermano in pieno i contenuti della legge oggetto di discussione in Commissione Vigilanza.

Vale la pena ricordare un’altra sentenza della Corte Costituzionale (n. 466/2002) sulla questione del pluralismo e del diritto all’informazione, in cui si afferma che “la situazione di fatto esistente in Italia non garantisce l’attuazione del principio del pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno degli “imperativi” ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale.” E subito dopo vengono richiamati i principi cardine della sua giurisprudenza in materia: “questa Corte ha, infatti, costantemente affermato la necessità di assicurare l’accesso al sistema radiotelevisivo del “massimo numero possibile di voci diverse” ( n. 112/93 ), ed ha sottolineato l’insufficienza del mero concorso fra un polo pubblico e un polo privato ai fini del rispetto delle evidenziate esigenze costituzionali connesse all’informazione (n. 826/88 e n. 155/02). Quest’ultima sentenza è certamente significativa dal momento che si conclude con una dichiarazione di incostituzionalità che predispone dei paletti non aggirabili da ogni altro soggetto dello Stato.

Dunque relazionandoci al tema della par condicio, perché non aumentare di numero gli spazi dedicati all’informazione politica in vista delle elezioni (un elemento che già dovrebbe essere previsto in un servizio radiotelevisivo pubblico) piuttosto che procedere per sottrazione, interrompendo le trasmissioni? Il dibattito è aperto.
Manuela Avino

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