MINZOLINI RIVUOLE IL TG1. LA RAI AUMENTA IL CANONE E TAGLIA I SERVIZI. URGE UNA PRIVATIZZAZIONE?

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Augusto Minzolini rivuole il Tg1. La legge applicata per il suo trasferimento è per i dipendenti pubblici. La Rai è una s.p.a. ergo il movente non è valido. La tesi dei legali dell’ex direttore del Tg1 segue un sillogismo aristotelico. Ad incoraggiare Minzolini è il Testo Unico della radiotelevisione e una recente sentenza della Cassazione che afferma che la Rai è regolata secondo il regime generale delle società per azioni. Per il consigliere Pdl Antonio Verro è stato un grave errore sostituire Minzolini. Per il consigliere del Pdl il dg Rai, Lorenza Lei, deve proporre il reintegro già nel prossimo cda che si terrà agli inizi di gennaio. L’ipotesi per i consiglieri del centrosinistra non avrebbe senso visto il crollo di ascolti e di credibilità del Tg1. Il problema è che la sostituzione non è stata motivata da tali argomentazioni, né sono state analizzate le dinamiche editoriali. Il movente è stato il mero rinvio a giudizio per peculato. Dunque è stata applicata la legge n.97/2007. La norma è stata ritenuta adatta non perché la Rai fosse una società pubblica, ma in quanto azienda a prevalente partecipazione pubblica. Minzolini, disdegnando l’eventuale nuovo ruolo di corrispondente da New York, ha fatto ricorso al giudice del lavoro per un immediato reintegro e per un cospicuo risarcimento danni. Significativo lo sfogo dell’ex direttore del Tg1 che afferma di essere stato vittima di pressioni politiche, come il suo “alter ego” Santoro. Un’affermazione che non fa bene alla tv pubblica che ne esce sempre più legata a doppio filo alle vicende politiche.
Inoltre l’azienda di Viale Mazzini attraversa, forse, il suo peggior momento. Non è bastano l’aumento del canone di un euro e mezzo. Il piano anti-crisi della Lei parla chiaro: tagli per 95 milioni di euro. Via sette uffici esteri con relativi corrispondenti; via i diritti “buoni”del calcio (la Rai comprerà solo quelli low cost, da vedere solo in tarda serata); gli uffici in affitto saranno disdetti e i giornalisti dovranno appoggiarsi all’Associated Press (un’agenzia di stampa internazionale che offrirà loro un tetto e gli strumenti di lavoro); inoltre saranno ceduti i terreni e i tralicci “passivi”, ovvero quelli che non pregiudicano l’organizzazione delle reti e dei segnali.
Ma non basta. C’è chi mette in evidenza le deficienze, le contraddizioni e i limiti dell’azienda di Viale Mazzini. Lo spunto per la critica parte dal canone. Per Davide Caparini (foto) esponente della Lega, il canone, essendo una tassa sul possesso di una tv, è iniquo e non va pagato. La storia ci dice che la pensano così un terzo degli italiani che regolarmente evadono il canone sottraendo centinaia di milioni di euro alla Rai. Più articolata la soluzione di Maurizio Belpietro. Il direttore di Libero sponsorizza un ragionamento che eliminerebbe a priori il problema del canone, favorirebbe la concorrenza e eliminerebbe l’endemica lottizzazione politica della tv di Stato. Belpietro auspica un referendum per l’abrogazione di una legge del 1975 che prevede la concessione statale del servizio radiotelevisivo pubblico. Avremmo così un servizio offerto da un’azienda privata sul modello di Radio Radicale che svolge un servizio pubblico, ma non dipende dallo Stato.
Tuttavia il referendum potrebbe anche non servire perché l’ipotesi di una privatizzazione è stata già contemplata dalla legge ‘Gasparri’ del 2004. Non resta che decidere. Una vendita frutterebbe allo Stato non pochi soldi. Il governo Monti potrebbe pensarci.
Egidio Negri

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