MINZOLINI NON FA PAURA. ORA IL NEMICO DELLA RAI È LIBERO

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L’aumento del canone e trasferimento di Minzolini sono i due argomenti più prolifici in quanto aprono spiragli su più profondi problemi “ontologico-giuridici” e gestionali dell’azienda. Libero continua ad evidenziare i “disservizi” della Rai che non merita il canone. Per quanto riguarda il ricorso del “direttorissimo” il dg Lorenza Lei e il presidente Paolo Garimberti sono compatti. Il giudice del lavoro non fa paura, male che va se ne parlerà l’8 marzo, data della sentenza. Tuttavia non mancano problemi urgenti. A fine gennaio, quando scadrà l’interim di Maccari, si preannuncia un duello in cda tra centrodestra e centrosinistra. Dunque potrebbe crearsi un’ennesima situazione di stallo gestionale oppure, come ogni crisi, potrebbe essere un’opportunità per una riforma della governance, e perché no, di un inizio di liberalizzazione. Durante la visita di cortesia la Lei non ha lesinato qualche suggerimento editoriale come approfondire i temi europei e opporsi alle proteste anti-canone.
A riguardo il Codacons ha sottolineato le discrasia tra l’aumento del canone e il ridimensionamento dei servizi, ma il vero antagonista di Viale Mazzini è ora il quotidiano Libero che ogni giorno snocciola dati oggettivi e audaci opinioni sulla gestione dell’azienda del Tesoro.
Il giornale diretto da Maurizio Belpietro sta pubblicizzando un referendum per abolire una legge del 1975 che sancisce che la Rai è una società di diritto privato, una società per azioni che svolge un servizio pubblico. Verrebbe meno il fondamento giuridico del canone e i cittadini risparmierebbero 1,5 miliardi di euro. Le argomentazioni alla redazione non mancano. Maria Giovanna Maglie ha sottolineato che il 52% dei ricavi della Rai derivano dalla pubblicità in barba al concetto di tv pubblica. Inoltre la pagina dove dovrebbero essersi gli esborsi per le consulenze (come previsto dall’articolo 3 della legge 244 del 2007) è in costruzione da 5 anni rendendo impossibile sapere come la Rai spende (o spreca denaro pubblico). Per la redazione di Libero la Rai non è un servizio pubblico, ma gode dei benefici delle aziende statali. Francesco Specchia definisce la Rai come un «ircocervo…tutti ne parlano e nessuno sa bene cosa sia». Al di là delle metafore ad effetto, il giornalista riporta uno studio di Giorgio Scorsone, un laureando di Giorgio Simonelli, docente di Linguaggi dei media alla Cattolica. Lo studente sottolinea il concetto di servizio pubblico scritta nel Contratto di servizio per il triennio 2010-2012 che detta i parametri della programmazione. Per contratto la Rai deve garantire una programmazione equilibrata, varia, di tutti i generi al fine di soddisfare le esigenze democratiche, culturali e sociali, nonché fornire un’informazione libera e plurale. A dispetto di ciò programmi come Un medico in famiglia, Un posto al sole, Il derby dei campioni, le serate di Gigi D’Alessio, l’oroscopo di Paolo Fox sono considerati servizio pubblico. Ma i cittadini possono consce cere simili storture? Certo. Funziona così: i cittadini pagano il canone allo Stato che lo gira alla Rai, ma quest’ultima deve fornire un elenco pubblico della propria offerta, giustificando e legittimando i soldi che riceve. A farlo lo fa, ma in maniera da palesare un forte pudore delle proprie scelte. Solo spulciando il sito in oscuri e improbabili meandri si capisce come vengono spesi i soldi pubblici. Un rinnovo efficace della Rai non può prescindere da criteri di trasparenza ed efficienza. Un’azienda che somma le pecche del pubblico a quelle del privato non serve al Paese.
Egidio Negri

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