Lo sciopero dei giornalisti e il paradosso delle cooperative: quando a trattare sono sempre gli altri

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Il logo della Federazione nazionale dell stampa

Lo sciopero nazionale del 28 novembre ha registrato un’adesione insolita e trasversale, coinvolgendo anche i giornalisti delle cooperative e delle testate non profit. Un segnale che va oltre il mancato rinnovo del contratto nazionale e che mette in luce un paradosso strutturale: migliaia di giornalisti sono vincolati a un contratto negoziato dai grandi editori, senza avere alcuna voce nel processo, pur essendo  – nel modello cooperativo – al tempo stesso dipendenti ed editori. Una contraddizione che riapre il dibattito sul futuro del lavoro giornalistico e sul ruolo delle imprese editoriali non profit.

Lo sciopero è stato proclamato per il mancato rinnovo del contratto nazionale di lavoro tra la Fieg e la Fnsi. Il contratto non viene rivisto da oltre 10 anni e il sindacato richiede oltra agli adeguamenti salariali una serie di garanzie per i giornalisti anche alla luce dell’utilizzo delle nuove tecnologie e, in particolare, dell’intelligenza artificiale. La risposta della Fieg è che la crisi è di tale ampiezza che andrebbe rivisto l’intero impianto del contratto che regola il rapporto di lavoro tra giornalisti ed imprese editoriali.

La particolarità di questo sciopero è che, a differenze di altre volte, hanno aderito allo sciopero quasi tutti i giornalisti dipendenti delle cooperative giornalistiche e delle imprese non profit. È un dato rilevante perché rappresenta una forma di protesta “contro sé stessi”. Nelle cooperative i giornalisti sono insieme dipendenti e soci-editori, ma non hanno alcun ruolo nella negoziazione del contratto che regola il loro lavoro.

Questo argomento è meritevole di approfondimento. Il contratto nazionale oggi in discussione è quello stipulato tra l’associazione che rappresenta i grandi editori e la Federazione nazionale della stampa. In altri termini i grandi editori negoziano le condizioni dei rapporti di lavoro che si applicano anche ai giornalisti dipendenti delle cooperative giornalistiche. Si tratta di un sistema costruito quando l’editoria era dominata da imprese verticali e strutturate, oggi sempre meno rappresentative dell’intero ecosistema.

Nell’ambito di questa contrattazione non vi è alcun distinguo che consente di definire le enormi differenze tra un giornalista dipendente di un grande gruppo editoriale e uno che dipende da sé stesso. Infatti, appare evidente come nell’ipotesi di cooperative vi sia una sostanziale coincidenza tra lo status di dipendente e quello di socio. In un settore così delicato questo è un profilo sostanziale, in quanto questa coincidenza consente una totale autonomia editoriale da parte dei giornalisti rispetto alle posizioni assunte da un editore.

E proprio per questo l’adesione allo sciopero appare così significativa: i giornalisti delle cooperative hanno contestato un contratto dal quale sono contemporaneamente destinatari e completamente esclusi. Una situazione che non ha equivalenti nel sistema italiano del lavoro.

Infatti, in questo caso è come se i giornalisti avessero scioperato contro sè stessi per il mancato rinnovo di un contratto dalla quale negoziazione, nella qualità di soci, e quindi di editori, sono esclusi.

Questo elemento richiede un ripensamento generale sulla situazione delle cooperative giornalistiche e dei giornali non profit. Da anni il dibattito politico su questo tipo di imprese editoriali che garantiscono, attraverso il coinvolgimento diretto dei giornalisti alla gestione dell’impresa, è limitato al sostegno pubblico, ormai residuale rispetto a quello destinato alle imprese editoriali che fanno capo ai grandi gruppi industriali e finanziari del Paese. Ma la vera questione non è il contributo pubblico: è la cornice normativa, pensata per un sistema editoriale che non esiste più.

La funzione della cooperative giornalistiche, dei giornali non profit e dei dipendenti di queste società dovrebbe oggi essere oggetto di un confronto politico serio, anche alla luce del Regolamento europeo Media freedom act.

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