LIBERTÀ DI STAMPA: A SALERNO GIORNALISTA ASSOLTO PER “ESPRESSIONI COLORITE”. E OGGI NORME ITALIANE AL VAGLIO DELLA UE

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Assolto il direttore responsabile dell’emittente televisiva salernitana LiraTv, Raffaele Budetti, accusato di aver usato espressioni aggressive nei confronti di un ex manager dell’ospedale San Giovanni San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno. Intanto (dal particolare al generale, dall’ambito locale a quello sovranazionale) a Strasburgo, il Consiglio d’Europa oggi esaminerà la legislazione italiana sulla libertà di stampa.
Ma andiamo per ordine. Il giornalista Raffaele Budetti era finito sotto processo per un appellativo quantomeno “incisivo” utilizzato per qualificare un ex manager del nosocomio della città di Arechi. «Trombone trombato», aveva detto il direttore dell’emittente salernitana rivolgendosi a lui. Immediata era scattata la denuncia per diffamazione. E la conseguente causa. I giudici della prima sezione del tribunale di Salerno, tuttavia, hanno respinto il ricorso assolvendo Budetti. A breve dovrebbero arrivare anche le motivazioni ufficiali del dispositivo. Ma, visto l’esito del processo, la genesi della decisione dei giudici potrebbe essere riassunta dall’argomentazione degli avvocati difensori del giornalista: «Nell’esercizio della critica giornalistica, soprattutto quando si trattano argomenti di interesse pubblico, è consentito l’uso di toni particolarmente aggressivi e di espressioni anche molto pungenti». Dunque, nel caso in questione, l’espressione “trombone trombato” non era da considerare un insulto poiché rientrerebbe nei limiti del linguaggio relativo al contesto in cui era stata pronunciata.
La sentenza potrebbe comunque costituire un importante precedente. Come dire: non basta un vocabolo colorito o un espressione forte per incappare nel reato di diffamazione. In effetti tacciare ogni vocabolo ambiguo di “lesione all’onore” significherebbe sminuire oltremodo la libertà di stampa. E più in generale di espressione (a questo punto verrebbe mene anche il diritto di satira).
E non si tratta di argomentazioni anarchiche e garantiste. È l’articolo 21 della Costituzione italiana, infatti, ad affermare che «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Lo stesso principio vale per «la stampa che non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». La legittimazione non finisce qui. Arriva in soccorso anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’articolo 10 afferma che «ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione». Ma attenzione: questo non vuol dire che ognuno può sparlare a ruota libera su tutto e tutti. A regolare la libertà di espressione c’è sempre, come detto in precedenza, il rispetto della reputazione altrui. Infatti l’articolo 10 della Convenzione europea precisa che sono previste restrizioni e sanzioni per chi “va oltre” le norme stabilite dalla legge. Le quali «costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l’integrità territoriale o per la pubblica sicurezza, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario».
E infatti va precisato che il tono “forte” non deve essere fine a se stesso, oppure uno sterile veicolo di insulti. Ma deve, altresì, essere in quale modo “esplicativo e didattico”. In soldoni deve far capire al lettore la vicenda grazie alle figure retoriche disponibili e lecite. Il tutto salvaguardando la verità dei fatti. Altrimenti si inciampa nel reato di diffamazione a mezzo stampa.
Un recente esempio “illustre” è la condanna ricevuta dal direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, per un articolo pubblicato nel 2007 sul quotidiano Libero, di cui al tempo era direttore responsabile. Il pezzo, scritto da Renato Farina (deputato del Pdl) sotto lo pseudonimo di Dreyfus, criticava fortemente Giuseppe Cocilovo, un giudice tutelare “colpevole”, secondo la disquisizione di Farina, di aver fatto abortire una minorenne. Ma non era vero. Il magistrato espose querela. E alla fine dei tre gradi giudizio, Sallusti si è visto comminare una condanna a 14 mesi di reclusione. Poi la pena, dopo una lunga serie di vicissitudini, è stata commutata in multa dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Anche nei casi di diffamazione la legge italiana, per quanto discutibile, è chiara. Il testo sulla stampa n.47 del 1948 prevede, infatti, la reclusione da uno a sei anni, e in aggiunta una multa. Ma il carcere è previsto, in concreto, solo per i casi estremi. E già l’articolo 595 del Codice penale ne prevede al massimo tre. Addirittura molti parlamentari italiani, in occasione del “caso Sallusti”, hanno proposto l’eliminazione della prigione per i reati a mezzo stampa. Di questo problema se ne sta occupando anche Bruxelles.
Il consiglio d’Europa, a iniziare da oggi, valuterà, infatti, proprio l’efficienza e la bontà della legislazione italiana per quanto concerne la libertà di stampa. Verrà “studiata” anche la vicenda di Sallusti. Il quale dovrebbe anche intervenire in video conferenza. Potrebbe essere l’occasione buona per riformare una legge che risale, ormai, al lontano 1948 e che il Parlamento italiano proprio non è riuscito a rinnovare.
C’è da precisare, inoltre, che il Consiglio d’Europa, tramite la Commissione di Venezia, l’organo consultivo dell’Ue in materia di diritto costituzionale, ha già “bocciato” altre leggi italiane: la Gasparri sul sistema radiotv, e la Frattini, sul conflitto di interessi. Subirà la stessa sorte anche quella sulla stampa?

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