LEGGE SU EQUO COMPENSO: POCHE LUCI, TANTE OMBRE

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Dopo un lungo iter, oggi la commissione Cultura della Camera, in sede legislativa, ha dato il via libera alla legge sull’equo compenso per i giornalisti precari.
La proposta, presentata per la prima volta alla Camera, il 17 Giugno 2010, nasce per tutelare i giornalisti titolari di un rapporto di lavoro dipendente. La precarizzazione è sempre più radicata nella professione giornalistica. Lo dimostra il numero degli iscritti alla gestione separata degli istituti previdenziali (circa 24.000), superiore a quello dei lavoratori subordinati iscritti all’INPGI (18.000). Un’ulteriore prova è data da una valutazione statistica degli iscritti all’Albo: solo il 19% dei membri dell’Ordine dei Giornalisti è titolare di un contratto di lavoro subordinato, a fronte di 100.000 iscritti in totale.
La legge si prefigge di proteggere il contenuto degli art. 21 e 36 della Costituzione. La libertà di stampa, sancita dall’art.21, è ostacolata dal continuo ricorso a forme di esternalizzazione e precariato. L’art. 36 coniuga il diritto del lavoratore ad un’equa retribuzione con un’ esistenza libera e dignitosa, ma numerose ricerche provano che questo non avviene nel settore giornalistico. Un’indagine svolta dal CNOG (Consiglio Nazionale Ordine dei Giornalisti) ha evidenziato l’irrisorietà dei compensi erogati per collaborazioni di tipo autonomo, anche da parte di aziende che ricevono i contributi statali. Su tutti il caso della Voce della Romagna, che nel 2008 pagava 2,5 euro a pezzo, pur riscuotendo 2,5 ml di contributi pubblici. In altri casi il problema è il ritardo con il quale viene effettuata la corresponsione del pagamento: il record è del quotidiano Liberal, che ha fatto registrare un ritardo di 365 giorni prima di elargire le retribuzioni.
L’art.1 della legge oggi approvata definisce come “equità retributiva” la corresponsione di un trattamento economico proporzionato alla quantità e alla quantità del lavoro svolto, in coerenza con i corrispondenti trattamenti previsti dalla contrattazione nazionale collettiva di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato. Per quanto riguarda le prestazioni autonome, l’ultimo Tariffario fissato dall’Ordine dei Giornalisti, che stabiliva i compensi minimi in base ai tipi di attività svolte dai lavoratori, risale ormai a sei anni fa (delibera 20/12/2006). La questione della tariffe minime è stata discussa dall’Antitrust, che ha giudicato il Tariffario lesivo della concorrenza, in quanto l’adozione di tariffe uniformi impedisce ai fruitori di servizi professionali di remunerare i lavoratori con prezzi derivanti dal libero gioco della competizione. Il Parlamento Europeo ha appoggiato l’Autorità, approvando una risoluzione nella quale dichiarava che la fissazione di tariffe minime costituiva un ostacolo alla qualità dei servizi. Al termine di un’accesa diatriba giuridica, è arrivata l’approvazione della legge 248/2006, che abroga le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono l’obbligatorietà di tariffe fisse e minime. Una decisione approvata anche dalla Corte Costituzionale, che con la sentenza 443/2007 ha stabilito che l’abolizione del Tariffario attiene alla tutela della concorrenza, riservata alla competenza esclusiva dello Stato dall’art.117 della Costituzione.
Con la legge sull’equo compenso ritornano in auge le retribuzioni minime. Ma è giusto che sia la legge a fissare le corresponsioni professionali? Sicuramente al lavoratore autonomo devono essere assicurate le condizioni minime di libertà e dignità per svolgere la propria attività, ma a patto che eventuali aumenti del compenso siano correlati alla qualità del servizio svolto. Per intenderci, hanno risalto parametri come la difficoltà dei compiti assegnati al giornalista e il tempo richiesto per lo svolgimento del servizio. In questo modo verrebbero tutelati allo stesso tempo i diritti individuali del giornalista e le norme pro-concorrenza tanto care all’Antitrust.
L’art.2 del provvedimento istituisce una Commissione per la valutazione dell’equità retributiva del lavoro giornalistico. La Commissione è composta da tre membri, due nominati dal Governo e uno designato dall’Ordine dei Giornalisti. Essa ha come principale compito la definizione dei requisiti minimi di equità retributiva dei giornalisti iscritti all’Albo titolari di rapporto di lavoro non subordinato. In più deve redigere un elenco dei datori di lavoro giornalistico che garantiscono il rispetto di tali requisiti, dandone adeguata pubblicità sul sito internet del Dipartimento per l’Editoria.
L’art.3 è diretto corollario di quest’ultima disposizione, dato che stabilisce che l’accesso ai contributi pubblici è dovuto solo ai giornali presenti sul suddetto elenco. La norma si va ad inserire in un già ampio quadro di disposizioni che correlano i contributi statali e la tutela del lavoratore.
Assume particolare rilevanza il d.p.r 223/2010. L’art.2 del d.p.r, stabilisce che la maggior parte dei soci di una cooperativa giornalistica deve essere assunta con contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. L’art.4, invece, prevede una riduzione del 20% dei contributi per le imprese editoriali che non utilizzano un determinato numero di dipendenti, con prevalenza di lavoratori sotto contratto subordinato. La disposizione contenuta nella legge sull’equo compenso è solo la più importante di una serie di provvedimenti adottati dallo Stato per salvaguardare l’equità sociale. Ma ciò che ci si chiede è se quei giornali che, per svariati motivi, non accedono ai contributi pubblici saranno tenuti a rispettare i “minimi” fissati dalla legge. C’è il rischio che si vengano a formare delle spaccature all’interno della categoria: i giornali presenti nell’elenco dovrebbero attenersi alle disposizioni legislative, ma tutti gli altri avrebbero una giustificazione per continuare a sfruttare i lavoratori.
L’art. 4 della legge sull’equo compenso stabilisce che dall’attuazione di essa non devono derivare nuovi oneri per la finanza pubblica. La normativa non ha effetti diretti sulle casse dello Stato, ma possibili effetti negativi sulla redditività delle imprese interessate potrebbero avere delle ripercussioni anche a livello statale. In merito ai profili di copertura finanziaria, è stabilito che i membri della Commissione non riceveranno compensi per il lavoro svolto. Ma non si parla di emolumenti, indennità, rimborsi-spese o di qualsiasi altro onere finanziario connesso al funzionamento della struttura.

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