LE FREQUENZE? OCCUPATE, PER ORA. LA RISPOSTA DI PASSERA ALL’INTERROGAZIONE DI GENTILONI

0
576

Il caso delle frequenze televisive diventa ogni giorno più aggrovigliato. Ecco la storia. Paolo Gentiloni attende dal ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera la risposta alla sua interrogazione parlamentare: il deputato Pd vuole sapere se è vero che le frequenze destinate a beauty contest (che le regalava agli operatori televisivi esistenti) siano in realtà già occupate, come segnala il promotore del primo catasto dell’etere italiano, Antonio Sassano, e se lo Stato italiano dovrà pagare per liberarle. Secondo le informazioni di CorrierEconomia , il ministro risponderà confermando che si tratta effettivamente di frequenze assegnate alle stazioni che hanno fatto ricorso al Tar. Nessuna assegnazione, sarà precisato, è però definitiva: e sono comunque destinate a decadere, tutte, entro giugno, quando sarà completato lo switch-off televisivo dall’analogico al digitale.
Ricapitoliamo l’antefatto. Nel settembre scorso, l’asta della banda 800 megahertz per operatori mobili si chiude con un incasso record per lo Stato:4 miliardi. Hanno pagato cari gli immobili, dunque gli appartamenti saranno liberi, direte voi. Invece no, sono occupati da emittenti locali, che, per lasciarsi sfrattare, chiedono 400 milioni di euro. Dopo trattative serrate, il prezzo del risarcimento viene fissato in 175 milioni, secondo un criterio che mette sullo stesso piano chi ha costruito impianti e chi non ha investito.
Poi, con il decreto del 20 gennaio, il governo Monti mette uno stop di 90 giorni al beauty contest, dichiara di non voler regalare il patrimonio pubblico a nessuno e si riserva di decidere il modo migliore per valorizzarlo, per esempio organizzando una nuova asta con il coinvolgimento di altri protagonisti hi-tech. Ed è proprio in quel decreto che le frequenze in questione vengono definite indisponibili, cioè libere, mentre oggi si riconosce che, seppur temporaneamente, non lo sono.
Ma la storia delle frequenze non finisce qui. Perchè quello italiano è il versante di una storia più grande. Proprio in questi giorni, a Ginevra, si svolge infatti la Conferenza mondiale dell’Itu, l’agenzia dell’Onu che coordina la politica globale per lo spettro radio. Da tempo l’Itu promuove il trasferimento di risorse dalle tivù alle comunicazioni mobili, sulla spinta dell’evoluzione tecnologica e dei nuovi consumi. E in questa logica si guarda già alla banda 700 megahertz, una porzione dell’etere ancora più pregiata.
Il governo Berlusconi dell’argomento non voleva neppur sentir parlare. Anche perchè, in quella banda, Mediaset possiede due dei suoi multiplex più importanti, il 52 e il 56 (sono i sistemi di diffusione del segnale televisivo usati nel digitale terrestre).Oggi l’atmosfera è cambiata e, pur con cautela, si vuole affrontare il problema, al riparo del provvidenziale scudo europeo. Il tempo non manca: stiamo parlando del 2015-2016, quando gli operatori di tic avranno nuova “fame di frequenze” e nuove risorse finanziarie per soddisfarla. Tutti però si stanno già posizionando.
Ma torniamo al presente. Sul fatto che la tendenza strategica sia quella di spostare risorse dalla tivù alla comunicazione mobile, gli esperti concordano. Il punto è: come arrivarci? Il problema italiano, fa notare un manager della Rai, è l’inefficienza nell’uso dello spettro radio: a Londra ci sono 6 multiplex, a Parigi 8, mentre a Milano ce ne sono 43 e a Firenze 41. La sovraccapacità diffusiva si traduce in scarsa remunerazio-ne degli investimenti. Una fetta enorme di risorse radio è inutilizzata. E questo perchè oggi tutti fanno tutto, piccoli e grandi. Ennesima anomalia dello Stivale, reti e televisioni sono integrate verticalmente. Con una pianificazione più razionale, che distinguesse tra operatori di rete e fornitori di contenuti, si consoliderebbe la parte più dinamica delle tivù locali, tipo Telelombardia di Sandro Parenzo. Ma una riforma del genere non si fa per legge. Una soluzione, forse gradita anche a Rai e Mediaset, che non esclude la separazione reti-contenuti, sarebbe quella di ricalcolare il canone di concessione: non più basato sul fatturato ma sulla quantità di frequenze a disposizione. Con un’avvertenza: se vogliamo distinguere tra operatori di rete e fornitori di contenuti, la regola dovrebbe valere per tutti.
Invece l’azienda presieduta da Fedele Gonfalonieri, grazie alla decisione favorevole, pur se con vincoli, dell’Antitrust, può fondere la sua società di infrastrutture, Elettronica Industriale, con la neoacquisita Dmt, e così gestire i segnali del 95% delle tivù private in Italia.Anche per questo, c’è chi propone di aprire l’eventuale, nuova asta, se il governo deciderà di farla, agli operatori televisivi di rete “purii”, come Tdf Group e Arqiva, e agli operatori di comunicazioni mobili. L’Italia farebbe un altro passo avanti verso la normalità.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome