L’attentato a Ranucci apoteosi del disprezzo verso la libertà

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L’attentato a Sigfrido Ranucci ha, giustamente, riportato l’attenzione sulla centralità dei giornalisti e dell’informazione libera nella democrazia.
La situazione del mondo occidentale, sotto questo profilo, è decisamente compromessa; il potere politico ed economico da anni si avvale della perdita di autorevolezza del giornalismo, alimentata da posizioni di professionisti troppo spesso proni ai desiderata dei potenti, ma, soprattutto, dai venti del populismo imperante.
Ranucci è stato avversato praticamente da tutte le forze politiche, con pressioni interne – ossia esercitate attraverso il suo datore di lavoro, la Rai, azienda pubblica – e con pressioni esterne, ossia le azioni giudiziarie mosse da politici per diffamazione.
Lo sconcerto e le parole di solidarietà che si sono sentite in questi giorni dovrebbero essere, ora, seguite da atti concreti. Anzitutto mettendo finalmente mano alla riforma della governance della Rai, tra l’altro resa obbligatoria dall’entrata in vigore del Regolamento European Media Freedom Act, e con un gesto politico chiaro: il ritiro delle querele per diffamazione finora presentate e ancora pendenti.
Ma il caso Ranucci non è isolato: il segno della crisi attraversa tutto il sistema dell’informazione, pubblico e privato.
In questi giorni è accaduta un’altra cosa di inaudita gravità.
Sul “Sole 24 Ore”, quotidiano della Confindustria, contro il parere dell’intera redazione, è stata pubblicata una lunga intervista di Maria Latella al premier Giorgia Meloni, da sempre poco incline al confronto con la stampa. La notizia è che la Latella – ottima giornalista, per carità – non fa parte della redazione del “Sole 24 Ore”.
In altri termini, è come se l’editore e l’intervistato avessero potuto scegliere l’intervistatore, tagliando completamente fuori la redazione. Quando il potere sceglie chi deve fargli le domande, non è più giornalismo, è sceneggiatura.
La mediazione tra politica e informazione non è possibile: la stampa deve essere libera di fare il proprio mestiere senza timori reverenziali e senza intermediari.
Una redazione non può essere tagliata fuori da un’intervista di tale rilevanza per scelta di un direttore – tra l’altro già sfiduciato più volte dai suoi giornalisti – in accordo con l’editore e con l’intervistato.
E cosa ancora più grave, è che, per superare lo sciopero dei giornalisti, il “Sole 24 Ore” abbia pubblicato un numero “freddo”, realizzato da società esterne.
Un precedente devastante: sostituire i redattori con appalti esterni significa negare il ruolo stesso del giornalismo come funzione sociale, non come servizio da subappaltare.
Questo caotico momento politico a livello internazionale, scosso da derive autocratiche e da un crescente disprezzo per la libertà di stampa, esige che l’attenzione al pluralismo e alla funzione dell’informazione libera, autonoma e autorevole diventi centrale nel dibattito pubblico.

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