La UE condanna Google per abuso di posizione dominante

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La multa, stando alle fonti citate dai media internazionali, supererebbe quella da 2,4 miliardi di euro già comminata nel 2017 all’azienda per aver favorito la visibilità del suo sistema di comparazione prezzi domestico (Google Shopping) rispetto ai rivali. In questo caso, come già scritto dal Sole 24 Ore, il «timore» della Commissione è che Google approfitti di Android per consolidare il suo dominio nel mercato della pubblicità online, obbligando i produttori ad installare servizi come Google Search e Google Chrome o distribuendo incentivi economici a chi si mantiene fedele a Big G. Al di là dell’impatto finanziario, la maximulta costringerebbe Alphabet – la holding che controlla Google – a rivedere un modello di business che le ha consentito di far proliferare i suoi prodotti sugli smartphone di tutto il mondo, aumentando la quota di entrate mobile su un fatturato che viaggia sui 31 miliardi di dollari a trimestre.L’azienda avrà una finestra di 90 giorni per offrire soluzioni che soddisfino i rilievi dell’antitrust, adeguandosi alla stretta imposta da Bruxelles. Tutto lascia intendere che Google sarà costretta a modificare i contratti proposti (o imposti) alle aziende che adottano Android, limando quegli elementi che hanno fatto drizzare le antenne all’antitrust comunitario. Una modifica alle policy equivarrebbe a rendere davvero aperto il sistema Android, anche se al costo – potenziale – di incrinare la supremazia delle sue app sugli smartphone di tutto il mondo. Raggiunte dal Sole 24 Ore, né la Commissione europea né Google hanno voluto commentare l’indagine, aspettando il verdetto in arrivo da Bruxelles prima di sbilanciarsi. La sanzione a Big G potrebbe riaprire qualche spiraglio nella competizione fra sistemi operativi. Google si è sempre difesa spiegando che Android è gratis e non impedisce agli utenti di installare prodotti della concorrenza: se un cliente si trova meglio con il sistema di ricerca Mozilla Firefox – per dirne uno – è libero di effettuare il download senza restrizioni. La controrisposta del caso è che pochi utenti sono inclini a cambiare prodotti quando trovano già tutto quello che gli serve sulla schermata della home, a maggior ragione se i servizi in questione sono marchi di fabbrica come lo stesso Chrome. Impedirne la preinstallazione darebbe fiato al mercato, spezzando la “dipendenza psicologica” che si genera negli utenti verso determinati prodotti.

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