Telecom Italia
Una riflessione sulla privatizzazione tutta italiana della Telecom è una necessità, oggi che un Fondo americano presenta un’offerta importante per rilevare l’intero pacchetto azionario.
La Sip era una società pubblica con una pletora di dipendenti che avevano all’epoca stipendi ritenuti da favola. Il privilegio degli altri infastidisce i populisti di ogni genere e di ogni età e, erano i primi anni novanta, tutto quello che era pubblico puzzava di mazzette all’occhio di una forcaiola opinione pubblica per cui la soluzione era nel privato, efficienza ed onestà.
Nessuno diceva che l’Italia aveva una delle migliori infrastrutture di telecomunicazioni al mondo, l’aveva fatta la Sip con i suoi dipendenti. Ma più della rete contava la forma ed allora privatizzazione formale prima e sostanziale poi, si privatizzava di tutto, anche le banche, e sotto, la regia di Massimo D’Alema, alcuni imprenditori coraggiosi presero il controllo della Telecom, ormai si chiamava così.
E di coraggio ce ne avevano eccome, perché non è da pavidi acquisire una società così importante facendo integralmente ricorso al credito e puntando sugli utili per ripagare i debiti. Così è stato, alla fine non era tanto difficile, bastava ridurre il personale, quei famosi dipendenti della Sip, esternalizzare funzioni, vedi i call center, e, soprattutto, evitare gli investimenti.
La rete funzionava ancora bene e i ricavi non dovevano solo coprire i costi, ma generare anche il cash flow per coprire i debiti: non della società, ma degli impavidi azionisti di controllo. Il resto è storia recente, la concorrenza e le tecnologie hanno contratto i ricavi, d’altronde per sviluppare competenze servono investimenti, roba troppa complicata per chi gestiva quella società.
Le soluzioni sono diventate i contenuti, il valore aggiunto è là, la rete non deve essere neutrale, ma oltre a fare un accordo con Dazn bisognava pensare che quei contenuti hanno bisogno di una rete, come d’altronde ne avrebbe bisogno il Paese, ma questi sono discorsi da filosofi. Ma era giusto per dire, null’altro.
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