Nichi Grauso
Il virus ha rivoluzionato la vita delle redazioni. Il telelavoro nei giornali è diventata un’esigenza e le stanze delle redazioni, una volta fumose, si sono trasformate in pochi giorni in deserti urbani, animati da qualche grafico e dal direttore. E nemmeno sempre.
Ma la via che oggi ha intrapreso l’intero settore dell’informazione è quella che immaginò, quasi venti anni fa, un editore diverso, Nicola Grauso.
Terminata l’esperienza di Videolina e dell’Unione Sarda, per qualche anno si è dedicato ad altre cose. Immaginò Internet, ma troppo presto perché diventasse profittevole; e ne approfittò Soru che, al momento giusto, lanciò Tiscali. Intanto Grauso aveva deciso di rifare capolino, a modo suo, nel mondo dell’editoria. E lo fece con un progetto diverso, che immaginava scenari futuri: un sistema misto tra formula free-press e giornale a pagamento; e tanti giornali locali, senza redazioni. Una sede per gestire la grafica e parte della titolazione e i giornalisti per strada, sempre connessi con pc e telefonini. Parliamo di circa 15 anni fa: mentre Grauso immaginava tutto questo, Steve Jobs ancora non aveva realizzato l’iphone e il termine touch, allora, non era così diffuso; eppure E Polis previde l’assunzione di una centinaia di giornalisti, che condividevano l’età, tutti giovanissimi, e l’essere anche giovani orfani di redazione.
Grauso pensava, semplicemente, che l’informazione succede nei posti e i giornalisti nei posti devono stare. Mi parlava di un giornale che non avendo una redazione, ne avrebbe avute tante, nei tavolini dei bar, nelle scuole, dovunque un giornalista andasse, senza aspettare che fosse la notizia ad andare da lui. La storia di Epolis ha poi preso altre strade, dall’immaginazione di un editore si è passati alla finanza immaginaria e le cose sono andate come tutti sanno. Ma Grauso già non era più lì. Grauso immaginò un giornale senza redazione, ma troppo presto perché diventasse realizzabile; forse oggi gli editori potrebbero approfittare della sua lezione.
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