LA CENSURA NELL’ERA DI FACEBOOK

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Il social network stabilisce una casistica di contenuti “non ammessi” sulle pagine dei propri iscritti. Si tratta di un manuale d’uso di 17 pagine in continuo aggiornamento, stilato in collaborazione con la società di moderazione oDesk, assoldata da Facebook per monitorare il “modus operandi” della community.

Il documento doveva rimanere segreto almeno fino a quando non è finito sulle pagine del blog newyorkese Gawker, grazie alla rivelazione di un giovane dipendente, Amine Derkaoui, impiegato nella stessa società esterna addetta al filtraggio dell’enorme flusso di informazioni immesse in tempo reale nel social network, rendendo di dominio pubblico la linea editoriale voluta da Mark Zuckerberg.

Sarebbero nove le categorie censurabili, identificate con etichette generiche (associate a 12 situazioni tipo) quali “Sesso e Nudità” (eccezion fatta per il nudo artistico), “Uso illegale di droghe”, “Furto, vandalismo e frodi”, “Messaggi d’odio”(specie se verso Capi di Stato e forze dell’ordine anche se con intento unicamente provocatorio), “Immagini forti”, “Blocco degli IP”, “Automutilazione”, “Bullismo e assalto” e “Minacce credibili”.

La policy sul divieto di pubblicazione di foto di donne che allattano al seno era già nota ai più e lo stesso vale per l’uso/abuso di un linguaggio esplicito o violento, sia verbale che figurato o l’esposizione di immagini equivoche a scopo offensivo, per non parlare del nudo infantile, ove il protocollo prevede un’indagine più approfondita. Poco conta se le direttive imposte da Facebook non ritengano necessaria una valutazione dei contenuti negazionisti, quelli ad esempio legati alla Shoah, mentre attivino un meccanismo di censura verso materiale che potrebbe urtare la sensibilità politica di alcuni Paesi. Basti pensare al caso clamoroso dell’oscuramento in Inghilterra della pagina di un gruppo di protesta studentesco, UK Uncut (e di tutti gli altri account correlati) creato contro i tagli alle università annunciati dal Governo nel dicembre 2010.
Goldsmiths Fights Back, Slade Occupation, Open Brickbeck, Tower Hamlet Green, sono solo alcuni degli spazi web inseriti nell’esteso elenco di profili non più raggiungibili, pubblicato allora sul blog Ucl Occupation. Questo ed altro, si potrebbe dire, per assecondare le autorità governative di turno, giustificate a fare pressioni sul portale per motivi di ordine pubblico.

Ciò che colpisce però non è tanto la scelta dei contenuti non ammissibili, rivelata dagli standard del documento in questione, quanto il sistema che fa innescare le relative misure di intervento censorio, che per la loro vaghezza potrebbero estendersi anche oltre i limiti imposti, proprio perché affidati alla discrezionalità di numerosi eletti, i quali stabiliscono volta per volta quali contenuti siano “inappropriati”.
Il sistema funziona in questo modo. Dopo la segnalazione di un’eventuale abuso riscontrato in messaggi, video, testi, audio e foto di ciascuna pagina scannerizzata, scatta immediato l’intervento “bacchettone” di un team qualificato ed autorizzato, sempre da Facebook, a rimuovere i contenuti prima filtrati da aziende terze che svolgono tale mansione in appalto. Una funzione molto spesso affidata a precari (come denunciato in prima persona da Amina Derkaoui) ed espletata attaverso linee guida in costante evoluzione, atte cioè in alcune circostanze a giustificare forme di tutele a tutto campo.
Eppure Facebook ci tiene a ribadire la bontà del documento e del modus operandi dell’azienda: “Per processare in modo rapido ed efficiente milioni di segnalazioni che riceviamo ogni giorno, abbiamo deciso di appoggiarci a società esterne per effettuare una classificazione iniziale di una piccola parte dei contenuti segnalati. Queste società sono soggette a rigorosi controlli di qualità e abbiamo implementato diversi livelli di tutela per proteggere i dati degli utenti che usano il nostro servizio. Nessuna altra informazione viene condivisa con terzi oltre ai contenuti in questione e alla fonte della segnalazione. Abbiamo sempre gestito internamente le segnalazioni più critiche e tutte le decisioni prese dalle terze parti sono soggette a verifiche approfondite”.
Si tratta in ogni caso di processi inappellabili, almeno nell’immediato, da parte degli 800milioni di iscritti al servizio. Per chi non volesse attenersi alla vision del Gruppo troppo “moralistica” in alcuni casi mentre troppo permissiva in altri, l’unica alternativa è quella di migrare ad un nuovo social network, con tanto di guadagnato per Google.

Manuela Avino

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