In televisione bisogna ”evitare di dare la parola a persone” abituate a ”performance diffamatorie”. Lo afferma la Cassazione che, con la sentenza 3597 della quinta sezione penale, stila un vademecum per i giornalisti televisivi.
In particolare la Suprema Corte, invitando a chiudere le porte in tv a chi non riesce a ‘contenersi’, ricorda che ”resta l’obbligo dell’intervistatore televisivo di intervenire, se possibile, nel corso dell’intervista (quanto meno interloquendo, chiedendo precisazioni, chiarendo, quando e’ il caso, che quello espresso e’ solo il punto di vista dell’intervistato), se si rende conto che il dichiarante sta eccedendo limiti della continenza o sconfinando in settori di nessuna rilevanza sociale”.
Per la Suprema Corte “quando si tratta di notizie date in diretta, non solo non si puo’ chiedere al giornalista di eseguire un (per quanto rapido) controllo prima di diffondere la notizia medesima”, ma non si puo’ anche “pretendere da parte sua qualsiasi attivita’ di verifica sulla fondatezza della notizia che, al tempo stesso, viene fornita e diffusa”.
Se, pero’, al cronista tv “non puo’ essere richiesta adeguata diligenza ‘in vigilando’ – aggiungono gli ‘ermellini’ – deve pur essere richiesta una qualche attenzione ‘in eligendo’, nel senso che, nella scelta del soggetto da intervistare, dovra’ essere adottata una qualche cautela, che valga, sempre comunque entro i limiti del diritto-dovere di informare, a evitare di dare la parola a persone che prevedibilmente ne approfitteranno per commettere reati, non rispettando i limiti del diritto di cronaca”.
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