Nubi all’orizzonte per Meta: la procura europea indaga per una presunta evasione Iva mostruosa, da 870 milioni di euro. La somma è gigantesca ma, potenzialmente, più interessante ancora è il ragionamento che porta all’inchiesta a essere, potenzialmente, rivoluzionario. Difatti, gli inquirenti contestano la “gratuità” alla base del social. L’infrastruttura, infatti, non viene messa a disposizione senza “pagare” nulla ma ottenendo, in cambio dagli utenti, i dati. Sui quali, poi, Facebook costruisce il business pubblicitario. Non trattandosi di regalo ma di vero e proprio “swap”, secondo l’inchiesta, Meta deve pagare l’Iva sui dati acquisiti.
Il nucleo di polizia economica e tributaria della Guardia di Finanza di Milano ha quantificato la presunta evasione in ben 870 milioni di Iva non versata. L’inchiesta è partita dalla Procura europea e adesso è arrivata alla magistratura di Milano. La notizia vera riguarda il fatto che la ricostruzione e l’interpretazione fiscale non gratuita dello scambio dati-uso della piattaforma potrebbe innescare un effetto domino importantissimo che si abbatterebbe su Meta nel Vecchio Continente. La società ha già fatto sapere di contestare il metodo e l’assunto alla base dell’accertamento fiscale concluso su Facebook e consorelle: “Prendiamo sul serio i nostri obblighi fiscali e paghiamo tutte le imposte richieste in ciascuno dei Paesi in cui operiamo. Siamo fortemente in disaccordo con l’idea che l’accesso da parte degli utenti alle piattaforme online debba essere soggetto al pagamento dell’Iva. Come sempre, siamo disposti a collaborare pienamente con le autorità rispetto ai nostri obblighi derivanti dalla legislazione europea e nazionale”.
Parole che trovano forza in una vecchia pronuncia da parte dei magistrati tedeschi che, su un caso simile, avevano dato ragione a Zuckerberg. Adesso la partita si riapre.
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