INTERVISTE A PAGAMENTO: PATTACINI CONTESTA L’ORDINE PER LA FUGA DI NOTIZIE

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Non si placa la bufera delle interviste a pagamento.
Con l’apertura del fascicolo da parte del Corecom (Comitato regionale per le comunicazioni) sulle cosiddette “ospitate” dei politici in alcune tv locali dell’Emilia, vengono fuori i nomi dei giornalisti coinvolti nell’insolito “affaire”.
Tra questi figura Dario Pattacini, conduttore dell’emittente “7Gold tv”. Nei giorni scorsi il giornalista bolognese (già interrogato dalla Guardia di Finanza) ha presentato un esposto all’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna per essere stato citato dai media come “soggetto ad azione disciplinare”, prima ancora che gli venisse deliberata la contestazione in sede di Consiglio.
Pattacini ha alzato la voce accusando l’Ordine di non aver mantenuto fede ai patti di non divulgare i nomi dei giornalisti coinvolti prima della notifica ufficiale dell’atto.
Ancora, il cronista ha sottolineato come non siano stati rispettati i tempi stabiliti.
E che la raccomandata dell’Ordine che riportava l’azione disciplinare aperta nei suoi confronti gli sia stata recapitata solo 12 giorni dopo la pubblicazione del proprio nome sugli organi di informazione.
La vicenda giudiziaria del giornalista emiliano inizia nel mese di agosto, quando la procura di Bologna avvia un’inchiesta sul caso delle comparsate a pagamento dei consiglieri regionali in alcune emittenti locali.
Pattacini viene sentito due volte come persona informata sui fatti. Sull’emittente privata “7Gold”, il cronista conduceva un programma di informazione politica “Sette in punto”, in cui gli esponenti politici venivano intervistati. Proprio su questo punto, il conduttore ha sottolineato di non aver mai fatto domande compiacenti agli ospiti di turno e che tantomeno gli sia stato chiesto di farlo da parte del suo editore.
Le uniche ammissioni riguardano, semmai, il duplice ruolo che rivestiva: quello di conduttore con uno stipendio fisso, e quello di “procacciatore d’affari” con guadagno a provvigione, ovvero la capacità di portare contratti in redazione.
In pratica, secondo la tesi degli inquirenti, quello che succedeva è che ai politici sarebbe stata chiesta una quota per prendere parte al programma.
Si trattava quindi, a tutti gli effetti, di spazi pubblicitari a pagamento, ma che venivano presentati al pubblico come spazi di intervista e di dialogo col conduttore.
Quello che rimane da accertare, a questo punto, è se i singoli consiglieri protagonisti delle interviste, siano andati o meno in tv a nome e soprattutto a spese del gruppo di appartenenza.
Oppure se abbiano sborsato l’obolo richiesto di tasca propria.
Il caso Pattacini va ad occupare un altro tassello del “puzzle” che vedrebbe coinvolti molti altri cronisti in questa spiacevole pratica .
Al riguardo si sono espressi anche alcuni editori campani di emittenti locali, come il direttore editoriale di “Julie Italia” Livio Varriale che sulla vicenda è stato categorico.
“Se dovessi riscontrare l’esistenza di un simile malcostume anche all’interno della mia redazione? Questo sarebbe certamente un valido motivo di licenziamento per il colpevole” ha chiosato Varriale.

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