IL “TIRO AL TECNICO” DOPO MALINCONICO (EUROPA)

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«Io penso che gli sia solo scappata la mano», ragiona un sottosegretario del governo Monti più politico che tecnico. «Speriamo», gli risponde un collega di governo, un sottosegretario più tecnico che politico. La lettura della rassegna stampa di ieri, in molti dei nuovi ministeri ma anche a palazzo Chigi, è stata come un pugno nello stomaco. Spiazzante, inatteso e perciò ancora più doloroso è risultato il colpo tirato da Repubblica, considerato dai Monti-boys un quotidiano più che amico: di quello parlottavano ieri, davanti a un piatto di frutta, alla buvette di Montecitorio la coppia di sottosegretari.
Sì perché il giornale di Ezio Mauro, all’indomani delle dimissioni del sottosegretario Malinconico per l’affaire del conto pagato al Pellicano, ci è andato pesante. Le prime tre pagine interamente dedicate al fattaccio che ha fatto perdere il posto a Malinconico: ma è la terza quella che ha fatto tremare molte poltrone, sotto quell’ansiogeno titolo – «Ciaccia, Milone e Patroni Griffi, ora il governo teme l’effetto domino» – di un lungo articolo in cui si elencano ben sei membri del governo Monti, tra cui i ministri Passera e Patroni Griffi, cui si aggiunge il direttore della nuova agenzia per le infrastrutture stradali De Lise indicati come «i casi più spinosi». Caduto Malinconico, la stessa sorte potrebbe toccare anche a loro?
Casi diversi, vicende imbarazzanti come quella del vantaggioso acquisto dall’Inps della casa al Colosseo per Patroni Griffi (che oggi avrebbe anche un doppio stipendio, mantenendo quello di consigliere di stato fuori ruolo), storie di vecchie opinabili consulenze per il viceministro Martone, amicizie discutibili per qualcuno, conflitti d’interessi già risolti insieme a “dubbi” di conflitti d’interesse per altri. Una paginata di informazioni già note: proprio per questo, nel paese della dietrologia, a palazzo Chigi sono saltati sulle sedie. Perché quella strana lista di quasi-proscrizione che mischia il grano col loglio?
Non sarà che a Repubblica si comincino a maturare dubbi sulla capacità di tenuta di Monti? Dubbi ingenerosi. La cruda verità sta tutta e solo in ragioni di “mercato politico”. A fare le pulci alla squadra del nuovo governo sul piano della questione morale e dei conflitti d’interessi, fin dalla sua nascita, erano stati un po’ tutti: giornali orientati a destra, a sinistra e quelli orientati un po’ di qua e un po’ di là. Poi, col passare delle settimane, a bastonare ministri e sottosegretari erano fondamentalmente rimasti, come gocce cinesi, il Giornale, Libero e il Fatto. La zampata-scoop di quest’ultimo su Maliconico, che ha portato nientemeno che alle dimissioni del primo membro del governo Monti per una questione di moralità pubblica, ha terremotato la situazione.
Repubblica ha dovuto correre subito ai ripari per dimostrare ai suoi lettori di non essere da meno, per l’opinione pubblica di sinistra, dei mastini inchiestisti di Padellaro. Con conseguente tallonamento dell’Unità che ieri, in due pagine, ha messo nel mirino il ministro Patroni Griffi ma soprattutto De Lise, «la cui nomina è avvenuta su indicazione di Passera».
A destra l’affaire Malinconico ha dato la stura su Libero a Belpietro («Monti incriccato») e sul Giornale a Sallusti («Fuori uno, ma non basta»), di rilanciare tutte le ragioni di critica al detestato governo dei tecnici. «Le urne potrebbero essere meno lontane di quel che sembra», scrive Sallusti, teorico dello sfratto ai tecnici di Monti e dell’intesa Pdl-Lega. Per quanto, anche dietro il sollevamento di scudi con pubblicazione di liste macedonia di epurandi sulla stampa dell’opposta tendenza politica, all’indomani delle dimissioni si Malinconico, si intraveda il riaffiorare della diffidenza se non dell’insofferenza verso quell’oscuro mondo dei tecnici che si è sovrapposto al pianeta della politica.

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