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Il mistero (poco) buffo del registro delle opposizioni

Dopo l’entrata in vigore del nuovo “Registro delle opposizioni” alle chiamate indesiderate da parte dei call center la situazione è oggettivamente cambiata. Nel senso che gli operatori sono diventati molto più aggressivi; prima per sessanta volte al giorno dovevi rispondere di no ad una cortese signorina che, comunque, faceva il suo lavoro. Oggi devi rispondere cento volte di no a operatori che ti aggrediscono, ti minacciano, fanno finta di sapere tutto non solo delle tue bollette, ma anche che film hai visto e a che ora, a chi hai chiamato. Insomma, un flop assoluto.

La soluzione ci sarebbe, secondo il Garante della privacy: compilare un modulo on line da inviare per segnalare i numeri di telefono dai quali provengono telefonate moleste: il che significherebbe dover dedicare ogni giorno un paio di ore a compilare moduli. Il vero tema è che il novantanove per cento delle telefonate arrivano da call center che promuovono i servizi delle maggiori società telefoniche ed energetiche italiane. La soluzione sarebbe semplice, trasferire al mandante la responsabilità e il gioco sarebbe fatto, ma…

Ma questo clamoroso fallimento di un progetto pensato per tutelare gli utenti dovrebbe far riflettere sul tema ben più ampio della funzione e, soprattutto, dell’utilità delle Autorità indipendenti che avrebbero avuto la funzione di governare il passaggio al mercato della fornitura dei beni di utilità pubblica: le telecomunicazioni, l’informazione, l’energia elettrica e il gas su tutti.

Fare un bilancio serio sull’utilità di questi organi dovrebbe essere una delle priorità della politica che dovrebbe, però, essere, è il caso di dire, autonoma dalle Autorità e non interconnessa per ragioni non solo di nomine ma anche e soprattutto di comodità. Perché è semplice trasferire problemi strutturali del Paese e dei mercati a soggetti che possono, ma che non possono, che si fanno legislatori, esecutori e giudici dei loro provvedimenti senza un’analisi, come dicono loro, ex post degli effetti degli stessi atti. E’ come la canzone di Pino Daniele dove alla fine “Ce sta chi ce penza”.

Enzo Ghionni

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