Il governo scivola sulla tassa Airbnb. Per l’Antitrust è tutto da rifare

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La cosiddetta tassa Airbnb, cioè la cedolare secca sugli affitti brevi al 21% introdotta con la manovra bis, «appare potenzialmente idonea ad alterare le dinamiche concorrenziali tra i diversi operatori, con possibili ricadute negative sui consumatori finali dei servizi di locazione breve». Pur riconoscendo che l’obiettivo della norma è «contrastare il fenomeno dell’evasione», l’Autorità Antitrust prende posizione (vedi bollettino antitrust) sul tema in una segnalazione ai presidenti di Camera e Senato, al ministero dell’Economia e all’Agenzia delle Entrate. Secondo l’Agcm, la cedolare secca del 21% sugli affitti brevi, la cosiddetta «tassa Airbnb» (che nel giugno scorso ha fruttato 333 milioni alle casse dello Stato in base ai dati del Tesoro) ha modalità di applicazione che possono «alterare le dinamiche concorrenziali tra gli operatori» perché contemplano l’obbligo per gli intermediari di raccogliere le tasse per conto dei proprietari delle case e di versarli al fisco. Per l’antitrust si tratta di «obblighi non proporzionati» che colpiscono maggiormente gli intermediari che fanno «maggiore ricorso ai sistemi di pagamento digitali», come Airbnb, costretti ad agire da sostituto d’imposta. Airbnb ha sempre contestato la norma (introdotta per contrastare l’evasione fiscale) e ha presentato ricorso al Tar, rifiutandosi per il momento di raccogliere la cedolare.

Bollettino Antitrust

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