IL FUTURO DEI LIBRI, ORA

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Questa settimana ci sono due notizie interessanti, che danno in maniera semplice l’idea di come l’ebook (e tutto ciò gli gira intorno) si stia «normalizzando». Il libro digitale sta entrando nella nostra quotidianità e sta diventando sempre più familiare.
La prima è che l’Istat ha incluso libri digitali ed ereader nel paniere dei prodotti per le rilevazioni mensili sui prezzi al consumo, paniere che include normalmente i beni più acquistati.

La seconda notizia è che l’Associazione degli Editori Italiani ha annunciato -non senza un certo allarmismo- che tre libri su quattro, tra quelli in classifica, sono stati piratati. Il lancio Ansa racconta che «L’associazione degli editori ha sostenuto nei giorni scorsi l’emendamento Fava alla legge comunitaria – bocciato però mercoledì dalla Camera – che voleva imporre ai siti web l’obbligo di controllare i contenuti messi in rete dagli utenti eliminando direttamente quelli segnalati dai detentori di eventuali diritti d’autore, senza attendere l’intervento della magistratura».
Il tema è assolutamente controverso. Negli Stati Uniti, come in Italia, c’è sempre stato il tentativo di inasprire la protezione legale contro quella che viene chiamata -un po’ a sproposito- «pirateria». Al di là delle reazioni mondiali di protesta contro questi tentativi (quella contro il SOPA, negli USA, è stata violentissima) non è una questione di così semplice soluzione. Se è comprensibile la volontà degli editori di difendere il modello di business analogico, è anche vero che la transizione al digitale pone dei problemi diversi che richiedono nuove soluzioni. Soluzioni che andrebbero provate e sperimentate già oggi.

In un certo senso, lo avevamo argomentato tempo fa, quella che viene chiamata pirateria è un fattore di sistema correlato con la natura stessa dei beni digitali. Quindi nel breve periodo continua ad essere legittimo (anche se forse di retroguardia) immaginare una difesa tattica contro la duplicazione dei libri digitali. Ma le cose vanno avanti velocemente e l’approccio più corretto, nel medio periodo, è disegnare (e mettere a punto) una catena del valore del digitale che sia coerente con la grammatica dei nuovi media. Va tutelata la giusta remunerazione per autori e professionisti del settore, ma probabilmente per farlo bisognerà andare verso modelli nuovi. Tutti da immaginare.

Se ne è parlato molto anche a IfBookThen, conferenza internazionale sul futuro del libro che si è tenuta a Milano ieri e l’altro ieri. Fatti i dovuti disclaimer (ero tra gli speaker e lavoro con gli organizzatori, abbiate pazienza), è stato interessante vedere condensate in poche ore le opinioni di tanti esperti di tutto il mondo. Ma è stato utile anche registrare le reazioni del pubblico di addetti ai lavori ad argomenti che -ancora una volta- sembrano oggi più familiari e meno contundenti.
La sensazione, rispetto all’anno scorso, è che sia cresciuta molto la maturità del dibattito, specialmente su temi sensibili. Mi è parso di vedere molto accordo sulla necessità di ripensare l’approccio ai DRM. «In fondo», ha sostenuto Javier Celaya, «i DRM non hanno mica salvato l’industria della musica». E, ad ascoltare Mike Shatzkin e gli altri, la pressione di autori e agenti, che chiedono di usarli, potrebbe essere -e probabilmente è- un fattore psicologico.

Tra gli altri dati che sono venuti fuori c’è il declino delle vendite dei libri di carta in tutto il mondo, con l’Italia tra i Paesi che registrano una flessione minore. Ma anche l’osservazione che in Europa le innovazioni vengono accolte più tardi, però poi vengono adottate con una velocità maggiore rispetto agli Stati Uniti. E, infine, il «costo» del self-publishing, che per gli editori americani rappresenta una perdita significativa, calcolabile in decine di milioni.

Tuttavia, come ha suggerito Richard Nash, la vera soluzione è guardare molto avanti. Il presente ha poco da raccontarci in un mondo che evolve così in fretta. E la prima cosa da fare è «spostare il focus del ragionamento. Se continuiamo a pensare in termini di “carta contro ebook” non ne verremo mai a capo».
E il problema vero, recitato come un mantra, è quello di ricostruire un modello di ricavi, una nuova logica di funzionamento per l’editoria. Ovvero, per dirla con una frase efficace che è stata ritwittata molto, come convertire i dollari di carta in centesimi digitali.

Come letture bonus, per chi ha voglia, un mazzolino di link che raccontano piccoli ma importanti segnali. Spesso capita di chiederci perché in digitale alla fine i libri assomiglino tanto a quelli di carta. David Gaughran spiega, ed è interessante, perchè le storie non hanno bisogno di essere arricchite da materiali multimediali: Stories Don’t Need “Enhancements”.
Poi: J.A. Konrath racconta di come difficilmente un autore, dopo aver sperimentato il self-publishing, torni verso l’editoria tradizionale. Infine, una curiosità per chi si chiede quali siano le dimensioni dell’aumento di scala nell’editoria. La tecnologia ci abilita a pubblicare e a distribuire i libri con barriere di accesso sempre minori. E Mediabistro racconta come oggi, in una settimana, si pubblichino più libri che in tutto il 1950.

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