IL DIRETTORE NON HA SEMPRE RAGIONE. ECCO PERCHÉ LAVITOLA NON È SOLO

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Un vero coup de foudre. E chi se lo aspettava? Avevo preparato un articolo, al solito pieno di sdegno, risentito, e per dirla con chiarezza, incazzato, contro quel Valter Lavitola, pseudo giornalista, pseudo direttore di un pseudo Avanti, e contro chi non lo cacciava. Nonché del suo trucchetto, così palesemente all’italiana, e tranquillamente accettato da chi dovrebbe vigilare, di togliere l’articolo “l” davanti al nome della gloriosa testata, che fa parte della nostra storia, per impossessarsene, a disdoro dei veri socialisti, e non solo loro. Ma senza esitare, con faccia tosta pari a quella del suo mentore che occupa la presidenza del Consiglio, di far scrivere sotto la testata mutilata, “organo del partito socialista fondato nel 1896”.
Quel foglio, indecente per nascita e contenuti, me lo aveva mostrato il mio amico Galal, giornalaio egiziano, da anni in Italia, che un giorno ironicamente, a fronte dei miei mugugni, mi aveva offerto di far affluire, qui da noi, qualche milione dei suoi connazionali per far traballare il governo italico, loro che erano riusciti, occupando per settimane piazza Tahrir, al Cairo, a far crollare il dittatore Mubarak. L’ultima pagina, in tutto quattro, di quel finto quotidiano, riportava la gigantografia di Craxi Bettino, quello notoriamente contornato ai suoi tempi, da nani e ballerine, che con il socialismo vero avevano poco a che fare, ma grande amico del suo amico di cui sopra. Da lui aveva ricevuto favori economici miliardari, ricambiati con enormi favori politici. E riportavo quel che avevo letto da qualche parte, cioè che quel foglio aveva ottenuto, grazie a chi è ovvio, ben oltre un milione di euro annui, che, per coloro che lo avessero dimenticato, sono l’equivalente di due miliardi e passa di lire. Mentre giornali veri faticano l’anima loro per sopravvivere, dato che non si inchinano al potere.
Ma ho dovuto buttar tutto nella carta straccia dato che un Ordine dei giornalisti, quello di Roma e del Lazio, con decisione inopinata e quasi nel tempo di un batter di ciglio, lo aveva eliminato dai ranghi della tanto non gloriosa categoria. Pensavo, ed in questo senso avevo scritto che, come al solito, chiudessero gli occhi e si tappassero le orecchie. Invece. .. Bene, benissimo, ottimamente. E, allora? Cambio impostazione e dico: ma gli altri? Alludo a quelli che, negli ultimi tempi, ho denunciato personalmente, vale a dire Clemente e qualcosa Mimun, Augusto Minzolini e Vittorio Feltri. Ed Emilio Fede: contro di lui non ho presentato alcun esposto, forse l’avrà fatto qualche collega, poi ne dirò.
Vediamo: Mimun, direttore della nave ammiraglia e pirata di Mediaset, il 31 gennaio 2008, nel Tg delle ore 20, quello di massimo ascolto, compie l’atto che si può definire il suo capolavoro di censura. Quello stesso giorno, “dopo un’attesa di anni e anni -riporto il testo della mia raccomandata inviata all’Ordine dei giornalisti di Roma e del Lazio -la Corte europea di giustizia, ha dato ragione ad Europa 7 nella sua vertenza contro lo Stato italiano che ha concesso le frequenze per diventare emittenza nazionale a Rete 4, di proprietà della berlusconiana Mediaset, anziché a lei. Non sto a dilungarmi sull’importanza della notizia, legata anche ad una sentenza della Corte costituzionale, al conflitto di interessi che pesa sulla collettività, alla legge Gasparri che ha cercato di mettere una toppa berlusconiana al loro problema…”. Ebbene, quella sera il Tg5 non ha dato sul tema ne una riga, ne una parola, ne una virgola. Il Tg3 l’annunciò nei titoli di testa. Il Tg1, non ancora diretto da Minzolini, ne dette un ampio resoconto, come il giorno dopo tutti i quotidiani di non osservanza berlusconiana. “Un individuo simile – cioè Mimun, scrivevo sempre nella mia raccomandata – pur nello sfascio dell’informazione italiana, non può e non deve fregiarsi della tessera e del titolo di giornalista. Idem per quel che riguarda i suoi vice o con, i redattori capo, il conduttore che con la sua presenza ha avallato la macroscopica omissione, e il comitato di redazione. Tutto questo perché, come ci è stato insegnato da Norimberga in poi, gli ordini ingiusti non vanno eseguiti”.
Bruno Tucci, presidente dell’Ordine, lo stesso che ha cacciato Lavitola, e per questo gli va eretto un monumento, mi risponde, anche lui per raccomandata, per informarmi che “il problema non è di competenza dell’Ordine in quanto l’articolo 6 prevede alcune specificità che esulano da qualsiasi potere di controllo. Ragione per cui la materia è prettamente sindacale e per questa ragione abbiamo inviato il tuo esposto all’attenzione dei probiviri”. Mi sono andato a leggere questo articolo 6 che dice soltanto “il direttore prende accordi con l’editore”, affari suoi, in un certo senso, e ci si richiama, appunto, alla correttezza dell’informazione. A voce, Tucci, con il quale mi lega un antico rapporto di colleganza per esserci ritrovati insieme da qualche parte, pur lavorando per testate diverse, come inviati speciali, mi dirà: “E poi il direttore ha sempre ragione”.
Questo è il guaio vero. Questo concetto si è inculcato nella categoria, e specialmente in chi dovrebbe tutelarla. Il direttore da primus inter pares, come avrebbe dovuto essere, è passato a sempre primus ma tra impares. I probiviri, con molta meno solerzia, ripeterono le stesse considerazioni dell’Ordine. Mi rivolsi allora al supremo consesso, una specie di Cassazione, cioé l’Ordine nazionale, che mi gelò con un “caro Franco, la legge è legge”. Loro, cioè, non potevano far niente autonomamente, se gli ordini regionali e provinciali, eccetera.
Ma io sono del partito, forse balordo, che repetita iuvant e, quindi, quando si è posto il caso, ho rinnovato le mie proteste contro il direttore del Tg1, Augusto Minzolini, e l’allora direttore del Giornale, Vittorio Feltri. Scusate, mi debbo ancora citare, riportando, sia pure per sintesi, la mia denuncia contro i due. Il primo, Minzolini, appena nominato da palazzo Grazioli direttore del Tg1, il massimo organo di informazione italiano, se n’era uscito con questa affermazione: non avrebbe dato queste notizie sui bunga bunga presidenziali di Bari e dintorni in quanto Berlusconi non risultava indagato. Poi farà ancor peggio, come hanno evidenziato le cronache.
Il secondo, Feltri, nel suo editoriale del 14 settembre 2009, scrisse, parlando del presidente della Camera, Fini, qualcosa del genere: attento, ci può essere materia anche per te. L’“anche” si riferiva evidentemente alle sue minacce a colui che era stato direttore dell’Avvenire, che in seguito, per questo, si dimise, anche se poi si accerterò che si trattava di falsi. Il resto, si può desumere, era forse in riferimento alla campagna di stampa che poi gli organi berlusconiani scatenarono contro Fini per il supposto acquisto da parte di suo cognato di un appartamento a Montecarlo, già di proprietà del Msi. Comunque minacce, materia da ricattatori, non da giornalisti. Se sanno debbono fare solo una cosa: scrivere.
Contro di lui feci anche un esposto alla magistratura milanese, che passò la palla alla procura di Monza, competente per territorio. L’Ordine nazionale, cui avevo inviato la denuncia, mi comunicò di averla inviata ai colleghi della Lombardia. Non ne ho saputo più nulla. Neanche dai magistrati di Monza, aggiungo per pura cattiveria, perché nonostante quel che si dice, non tutti i giudici sono tinti di rosso. Purtroppo. Silenzio tombale anche da parte di Roma, per quel che riguarda Minzolini. Perché? È meglio di Lavitola ai fini dell’informazione?
Ed ora Fede. Ero negli stessi anni con lui alla Rai, ma non lo avevo mai frequentato. Io ero ormai ai confini, per le mie ribellioni, lui aveva ottenuto la corrispondenza per l’Africa, avuta, sussurravano i maligni, in quanto genero dell’allora vicepresidente della Rai, Italo De Feo. Carlo Mazzarella, critico cinematografico, valente giornalista, che competeva con me in quanto a denunce contro il potere, e uomo dalle fulminanti battute, lo aveva soprannominato “Sciupone l’Africano”. I suoi rimborsi spese erano oggetto di risatine da parte della platea Rai e di grossi crucci, si diceva, da parte della direzione. L’ho sempre considerato una macchietta, da quando è diventato direttore del Tg4, per le sue smorfie, i suoi ammiccamenti, le sue mezze allusioni quando si riferiva alla sinistra, ma evidentemente sbagliavo. Il suo essere di parte, netta, evidente, macroscopica, avrebbe già dovuto da tempo metterlo fuori dal giornalismo. Si sono anche aggiunti elementi che ne fanno un concorrente di Lavitola, con le uniche differenze che per il primo è stato spiccato un ordine di cattura, e lui, invece, è soltanto sotto inchiesta per reati non certamente esaltanti. Lavitela poi, è stato espulso, mentre lui esercita ancora questo mestiere, di cui è campione di degradazione.
Colleghi presidenti degli Ordini, Tucci e suoi omologhi della Lombardia e del Nazionale, volete darvi una svegliata? Non capite ancora che così non si può andare avanti, e che i direttori raramente hanno ragione?
Franco Giustolisi (Il Manifesto)

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