La categoria dei giornalisti è a rischio. Raccontare l’emergenza coronavirus, dalla prima linea, è un pericolo. Eppure c’è bisogno che qualcuno lo faccia: altrimenti saremmo tutti preda delle fake news, delle dicerie, delle leggende che si fanno realtà parallele quando credute (e condivise) da migliaia e migliaia di utenti e cittadini, sia sulla rete che per le strade.
Nei giorni scorsi, il contagio da coronavirus ha letteralmente falcidiato la redazione del Corriere Veneto che, con lo strumento dello smart working, tenta ogni giorno la sfida impossibile di far uscire in edicola un giornale. Ma il giornalismo inizia a piangere anche i suoi morti. Come Paolo Micai, fotoreporter genovese che, dopo un breve ricovero, è spirato. Aveva 60 anni e aveva raccontato tutti gli eventi, dai più piccoli ai più grandi (come il crollo del Ponte Morandi) nella città della Lanterna.
Se ne è andato anche l’ex viceredattore di Repubblica, Massimo Vincenzi. Aveva 48 anni ed era ricoverato da settimane all’ospedale Santo Spirito di Roma per una polmonite, sollevando commozione all’interno dell’intera redazione del quotidiano diretto da Verdelli.
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