Il caso Denaro, tutti gli equivoci della vicenda

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Truffa aggravata ai danni dello Stato. Questa l’accusa nei confronti del direttore del Denaro, Alfonso Ruffo. Appena diffusa la notizia si è parlato di un sequestro preventivo di 16 milioni nei confronti di Ruffo, ma, come spesso accade, le cose non stanno proprio così

Il direttore del Denaro e titolare della cooperativa Edizioni del Mediterraneo, Alfosno Ruffo, è stato accusato alla fine di luglio di truffa perpetrata per il conseguimento di erogazioni pubbliche dell’editoria dal 2007 al 2011. Secondo i pm di Napoli tali fondi non avrebbero dovuto essere erogati dato che la coop era priva dei requisiti soggettivi previsti per beneficiare di quelli statali destinati all’editoria: i soci della cooperativa editoriale sarebbero stati di fatto esclusi dalla gestione della società operando in assenza della causa mutualistica. Questa, è bene ribadirlo, è l’accusa, non la condanna.

Alla diffusione della notizia è partito subito il tristemente classico linciaggio mediatico, ma andiamo a scavare un po’ di più nella vicenda. E ascoltiamo le parole del diretto interessato, che si è affidato alle pagine del Denaro per raccontare in maniera più dettagliata tutta la vicenda. L’accusa, come detto, è di aver condotto la cooperativa Edizioni del Mediterraneo che per anni ha editato la testata il Denaro impedendo che si svolgesse al suo interno una vita associativa democratica. In qualità di amministratore unico, carica alla quale Ruffo fu regolarmente eletto, avrebbe impedito il normale svolgimento delle assemblee violando secondo gli inquirenti uno dei principi cardine del sistema cooperativistico e mettendo quindi in atto una simulazione.

Da qui scaturisce la richiesta di restituzione e il provvedimento di sequestro cautelativo su tutti i beni, mobili e immobili, del direttore. “Ora io non mi riconosco affatto nella condotta che mi viene attribuita”, spiega Ruffo. Ritengo di aver gestito la cooperativa nel pieno rispetto delle leggi e in totale conformità con quanto richiesto dalle normative di settore. Il punto nodale del contendere è tutto qui. I finanziamenti ricevuti dalla presidenza del Consiglio erano sì adoperati per gli scopi tipici dell’attività editoriale – stipendi, carta, stampa, diffusione (e d’altra parte il giornale prodotto era sotto gli occhi di tutti) – ma attraverso un veicolo, la cooperativa appunto, ritenuto falso da chi indaga perché privo del requisito del sufficiente gioco democratico e perfettamente legittimo da chi scrive”.

Una matassa difficile da sciogliere perché di certo la doppia veste amministratore/direttore porta con sé ampi poteri, “poteri che ho comunque sempre esercitato con coscienza e nei limiti delle deleghe ricevute”. Ora tutto ciò sarà oggetto di dibattito nel processo, ma prima ancora che sia avviato il procedimento giudiziario, c’è chi ha già emesso la condanna. “Al di là delle chiacchiere sui tre gradi di giudizio e sulle garanzie riservate al cittadino inquisito finché non giunge la sentenza definitiva, la sola accusa basta e avanza per provocare conseguenze disastrose personali, familiari, professionali, imprenditoriali, patrimoniali come chi scrive può testimoniare per esperienza fresca e diretta”, scrive ancora Ruffo.

Un danno che si traduce nella rinuncia ad occasioni di lavoro, un passato calpestato ed un futuro negato. Oltre a questo c’è un’altra questione che ha suscitato subito qualche dubbio: il presunto sequestro di ben 16 milioni tra beni mobili ed immobili che la Guardia di Finanza avrebbe requisito in via cautelativa. Anche in questo caso si è generato un equivoco: “16 milioni sono il limite entro il quale i pubblici ufficiali avrebbero potuto avanzare la loro azione precauzionale a fronte dei circa 11 erogati al gruppo di lavoro nei quattro anni che vanno dal 2007 al 2010. Il valore di quello che mi è stato effettivamente sequestrato, perché trovato nelle mie disponibilità, non credo superi i 150.000 euro”.

Una situazione nera, resa ancora peggiore dalle prime notizie, forse poco chiare, che hanno suscitato più di un dubbio. Tuttavia non sono solo critiche ad arrivare al direttore del Denaro: “mi danno grande gioia e conforto le testimonianze di stima, amicizia e affetto che ricevo ogni minuto che passa da chi mi ha conosciuto, ha con me lavorato, e forse apprezza l’impegno la dedizione l’amore che ho sempre messo per me e per gli altri nello svolgimento del mestiere più bello e difficile del mondo”, conclude Alfonso Ruffo.

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