I RISULTATI DEGLI STUDI CONDOTTI SULLA PIRATERIA ONLINE CONDIZIONATI DALLE MAJOR DELL’INTRATTENIMENTO?

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È questa una delle tesi di fondo che il “Libro Bianco su copyright e tutela dei diritti fondamentali sulla rete internet”, coordinato dall’Avv. Sarzana insieme alle diverse associazioni di categoria coinvolte, si propone di dimostrare. Il testo si focalizza sull’analisi di studi indipendenti ed internazionali mai divulgati in Italia, condotti negli ultimi 5 anni (2005-2010), ovvero in concomitanza con la diffusione di massa del file sharing su Internet. “Quello che conosciamo della “pirateria dei media” normalmente inizia, e spesso finisce, con le ricerche sponsorizzate dalla stessa industria dell’intrattenimento”. È una delle citazioni iniziali del lavoro ed è tratta dallo studio “Media Piracy in emerging economies”, la prima ricerca indipendente su larga scala relativa al tema della pirateria audio-video nelle economie dei paesi emergenti, con focus su Brasile, India, Russia, Sud Africa, Messico e Bolivia. Da subito si intuisce l’intento provocatorio del testo presentato ieri alla sala stampa della Camera dei Deputati, che attraverso tre target di indirizzo (editoria libraria, discografica e cinematografica) ha proposto argomentazioni nuove e controcorrenti volte a sollevare dubbi sull’attendibilità scientifica (dovuta a presunti errori di rilevazione dell’industria di intrattenimento) persino dello studio “ufficiale” BASCAP/TERA attualmente punto di riferimento ed oggetto di consultazione dei decisori italiani ed europei. Quattro sono gli obiettivi dell’indagine: dimostrare la non veridicità della relazione che vorrebbe che “una copia non-autorizzata corrisponda a una vendita mancata”; verificare il ruolo benefico che le violazioni di massa del copyright (ma senza fini di lucro) eserciterebbero nei confronti della creatività e della nascita di nuove opere; contraddire l’esistenza di prove per cui tali violazioni causerebbero un danno per l’economia mondiale; e per finire, dimostrare l’esistenza di correlazioni dirette e causali tra violazioni di copyright e benefici economici agli artisti. Delle rivendicazioni certo paradossali ad un primo sguardo ma che divengono interessanti, se raffrontate con il metodo utilizzato nelle inchieste. Una serie di interviste rivolte a campioni significativi (oltre che ad essere estese a diverse nazioni) ed incentrate sulle abitudini di consumo degli utenti di Internet, ergo, anche dei servizi di file sharing. Uno degli studi citati più recenti, è quello condotto nel 2009 dalla IPSOS Allemagne, attraverso un’inchiesta internazionale che ha visto coinvolti 12 Stati (Cina, India, Brasile, Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Giappone, Russia, Spagna, USA, ed Emirati Arabi Uniti). Su un campione di 6500 persone si è indagato sui rapporti fra file sharing di musica e film ed abitudini di spesa. Il risultato avrebbe evidenziato come coloro che condividono online spendano di più di coloro che non lo fanno, con alcuni casi particolarmente interessanti come quello tedesco in cui i “condivisori” spenderebbero quasi il triplo (in musica online legale e CD) dei non-condivisori. Sono conclusioni che potrebbero certo offrire ulteriori spunti critici alla battaglia alla pirateria online specie alla luce del progressivo spostamento verso applicazioni e protocolli più difficili da monitorare che una politica orientata solo all’enforcement contro i contenuti di file sharing ha prodotto negli ultimi anni.
Manuela Avino

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